Pensiamo di sapere tanto sul sistema solare e i suoi “abitanti”. In realtà i pianeti sono ancora per molti versi misteriosi. Per esempio Giove in realtà ha la forma di una pera. Un gruppo di ricerca ha scoperto che l’emisfero nord del pianeta gigante ha una distribuzione di massa diversa rispetto all’emisfero sud. Lo studio, pubblicato su Nature, porta la firma anche di due matematici dell’Università di Pisa, Andrea Milani e Daniele Serra. Gli scienziati hanno misurato per la prima volta la componente asimmetrica in direzione nord-sud campo gravitazionale di Giove, uno degli elementi fondamentali per modellizzare la struttura interna del pianeta. La ricerca fa parte di Juno, una missione della Nasa che ha come obiettivo l’esplorazione di Giove. Una sonda spaziale, con nove strumenti usati per eseguire gli esperimenti, orbita attorno al pianeta gigante allo scopo di determinarne la struttura e la composizione interna, di studiarne l’atmosfera e di mapparne la magnetosfera.

In particolare, il gruppo di ricerca dell’Ateneo pisano, in collaborazione con le università La Sapienza di Roma, di Bologna-Forlì e il Jet Propulsion Laboratory della Nasa, ha lavorato alla determinazione del campo di gravità attraverso l’analisi di dati Doppler inviati dalla sonda. “Grazie a finanziamenti dell’Agenzia Spaziale Italiana abbiamo sviluppato un software che implementa raffinati modelli matematici ad altissima precisione – spiega Daniele Serra – come conseguenza ora possiamo determinare con una accuratezza almeno mille volte migliore del passato la parte simmetrica del campo di gravità di Giove e per la prima volta anche la parte asimmetrica, cioè quella dovuta a una diversa distribuzione della massa rispetto all’equatore. Abbiamo scoperto che l’emisfero nord di Giove ha una distribuzione di massa diversa rispetto all’emisfero sud; per dirla in parole semplici: Giove ha la forma di una pera”. “Poiché Giove ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del Sistema Solare – conclude Andrea Milani – avere una conoscenza completa e approfondita del pianeta e di come si è formato può fornire indizi sulla formazione del pianeta Terra e permetterebbe di fare un passo in avanti nella comprensione dell’origine della vita sulla Terra”.

Anche su altro pianeta arrivano informazioni “inedite”. Gli anelli che circondano Saturno non sono stati sempre lì, intorno al sesto pianeta del sistema solare, ma sono “abbastanza recenti e hanno meno di un miliardo di anni”. La scoperta arriva grazie dai dati raccolti dalla sonda Cassini prima del tuffo finale di settembre scorso. “Cassini è stata una missione che ha funzionato come un orologio, un gioiello tecnico, un gioiello di collaborazione internazionale – dice il coordinatore scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana, Enrico Flamini – A 27 anni dai primi accordi per la missione, Nasa, Asi e Esa hanno lavorato sottobraccio per il successo di Cassini”, una missione non scontata, che, osserva Flamini, “ha esplorato un sistema complesso, facendo così tanto che è difficile dire quale sia la scoperta più rilevante ottenuta” grazie al lavoro perfetto di questa straordinaria sonda. Ma forse, aggiunge Flamini cercando fra i tantissimi record realizzati grazie alla missione Cassini, “possiamo ricordare i laghi di metano scoperti su Titano“, un nuovo traguardo della conoscenza raggiunto grazie al lander Huygens, sganciatosi dalla sonda madre per approdare nel 2005 sulla misteriosa luna maggiore di Saturno.  Tra i record del grande lavoro fatto da Cassini, Flamini ricorda “la scoperta dell’oceano nascosto sotto i ghiacci di Encelado“, la prova di “acqua liquida” su questa altra ormai famosa luna del pianeta con gli anelli composti di particelle di gas e silicati. La missione Cassini è stata lanciata il 15 ottobre del 1997 ma il viaggio fino all’orbita di Saturno è stato lungo sette anni, fino al 1° luglio 2004. Da allora in poi la cronaca l’ha più volte citata come una star. Ora che Cassini ha compiuto il suo ultimo tuffo, si guarda in avanti. “Si cercherà di vedere se è possibile fare un’altra missione“che possa, spiega Flamini, “proseguire il lavoro” della sonda, una nuova missione che potrebbe portare “dei droni, questa volta, a sorvolare i mari di idrocarburi di Titano o strumenti più affinati per studiare il mare di Encelado e cercare di scoprire se nasconde forme di vita”.

L’abstract su Nature

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