La campagna elettorale l’ha dimostrato e il voto del 4 marzo probabilmente lo confermerà: in Italia, le forze politiche europeiste, seppur moderatamente, sono una minoranza; e quelle che dichiarano senza reticenze il loro sostegno all’integrazione europea sono quasi marginali. Eppure, la galassia delle istituzioni e delle organizzazioni europeiste, che nelle ultime settimane ha moltiplicato eventi e iniziative, fatica a unire le proprie forze e non riesce a fare di tanti ruscelli – Movimento federalista europeo, Gioventù federalista europea, Consiglio italiano del movimento europeo, Associazione italiana per il consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa, Centro internazionale di formazione europea e quant’altri – un impetuoso torrente.

C’è stato fermento europeo, a Roma, nelle ultime settimane: non s’erano mai visti tanti eventi l’uno di seguito all’altro nel segno dell’Ue, tranne forse un anno fa, quando ricorreva il 60esimo anniversario della firma a Roma, il 25 marzo 1957, dei Trattati costituivi delle Comunità europee. Martedì 14 è stato il giorno record, grazie a un altro anniversario: in quella data, nel 1984, il Parlamento europeo approvava il progetto di Trattato sull’Unione europea voluto da Altiero Spinelli.

In vista delle elezioni politiche, la rappresentanza in Italia della Commissione europea ha ospitato una serie d’incontri con esponenti di spicco delle varie liste, per presentare e discutere i rispettivi “programmi europei”, che un’analisi di Gianni Bonvicini, vice-presidente emerito dell’Istituto di affari internazionali (Iai) e uno dei massimi esperti d’Europa italiani, compara a una cacofonia in sordina. Lo stesso Iai, l’Istituto di Spinelli, ha dedicato uno speciale del suo webzine Affarinternazionali.it all’approfondimento dei temi europei e internazionali della campagna elettorale.

E, oltre a organizzare dibattiti, il Movimento federalista – presidente Giorgio Anselmi – ha chiesto ai candidati di firmare un “impegno” sulle responsabilità dell’Italia per un’Europa federale. Invece, il Movimento europeo – presidente Pier Virgilio Dastoli – ha sollecitato i candidati su un decalogo per “un’Europa unita, solidale e democratica, strumento di pace in un mondo globalizzato”. E l’associazione Università per l’Europa, animata dal professor Francesco Gui, ha lanciato un appello perché i candidati s’impegnino a promuovere, nelle scuole, l’educazione europea e la formazione dei giovani alla cittadinanza europea.

Spesso, anche un discreto conoscitore degli affari europei fatica a cogliere le differenze fra un testo e l’altro, anche se autori ed esegeti sono in grado di spiegarvene gli accenti più “spinelliani” o più “macroniani”, l’ispirazione più “liberista” o più “sociale”, i contenuti più “idealisti” o più “funzionali”.

Le firme sono state numerose, talora sovrapposte; come pure i dinieghi e i distinguo. Se tutto questo benemerito attivismo europeista voleva contrastare uno dei momenti più tiepidi e più critici verso l’integrazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche, un unico messaggio semplice ed essenziale sarebbe probabilmente stato più efficace. Tentativi sono stati fatti, per definire un metodo e a un’agenda comune per realizzare la federazione europea e per unificare testi e documenti. Ma alla fine i rivoli sono rimasti rivoli.

A basarsi sugli ultimi sondaggi leciti, ben oltre la metà degli italiani intenzionati a recarsi alle urne il 4 marzo sono orientati a votare per forze euro-critiche o apertamente euro-scettiche. E le altre forze maggiori sono più euro-tiepide che euro-entusiaste. La sola lista genuinamente europeista è quella di Emma Bonino, l’unico leader che, parlando di Ue, forte della competenza acquisita come parlamentare e commissaria europea e ministro degli Affari europei e degli Esteri, non usa formule trite e vuote tipo “un’Europa diversa”, “un’altra Europa”, “imprimere una svolta all’Europa”, “far fare all’Europa un salto in avanti”, “andare verso gli Stati Uniti d’Europa”, ma mostra conoscenza di causa su problemi e Istituzioni: “L’Europa – dice, dichiarando la sua ‘nostalgia’ – non è un posto dove si vanno a battere i pugni sul tavolo”.

La famiglia federalista europea in Italia fatica a tenere unite le poche forze, anche se talora, come fu il 25 marzo 2017, ci riesce. E non consola certo il fatto che la dispersione delle energie federaliste trovi conferma sul piano finanziario a livello europeo: al momento di concorrere ai sostanziosi finanziamenti triennali 2018/20 della Commissione di Bruxelles, Uef, Jef, Mei sono stati rivali, non alleati. Così, ci sono stati vincitori e vinti e i soldi Ue sono stati distribuiti fra decine di progetti. Come se il progetto vero non fosse uno solo, comune a tutti: un’Europa federale, forte e sicura.

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