A Nantes, nel nord-ovest della Francia, i migranti vanno all’università e abitano in un castello. È lo Château du Tertre, uno degli edifici della facoltà di Lettere occupati lo scorso novembre per iniziativa di collettivi studenteschi e associazioni. Vogliono attirare l’attenzione pubblica sui “mineurs isolés”, centinaia di minorenni stranieri che vivono nelle strade della Loira Atlantica in attesa di essere regolarizzati. “L’inverno è inoltrato – dice il Collectif d’étudiants nantais en soutien aux mineurs isolés – ma la città di Nantes non mette a disposizione alloggi per questi ragazzi”.

L’iter di accertamento dell’età di un minore dura in media nove mesi: “Passa un tempo indefinito prima che la legge emetta un giudizio – dicono i volontari – e molti diventano maggiorenni nel frattempo”. I rischi a cui sono esposti sono per lo più emarginazione, tratta di esseri umani, sfruttamento. “Le valutazioni sono poco trasparenti e c’è il sospetto che li si giudichi maggiorenni per non tutelarli”, contestano gli attivisti.

La battaglia per i mineurs isolés a Nantes comincia il 18 novembre, quando migranti e militanti decidono di occupare in segno di protesta l’antica École des beaux Arts. Senza riuscirci: in meno di 24 ore la polizia evacua l’edificio in un clima di grande tensione. Pensano allora di occupare l’università pubblica nella settimana dell’anniversario della Convenzione Onu per i diritti dell’infanzia. Il 22 novembre, sette aule dell’edificio principale del campus universitario, il Censive, sono occupate, ma i toni sono distesi e il preside, Olivier Laboux, dichiara tolleranza nel rispetto reciproco. L’occupazione del Censive però rallenta i corsi e per gli attivisti “si pone il problema di dove collocare i minori” in caso di espulsione. Puntano sul solo edificio inutilizzato del campus: un castello vuoto perché in procinto di essere ristrutturato. Ci si insediano il 26 novembre, ma l’edificio è pericolante e il preside lancia un ultimatum: “Ho chiesto agli occupanti – dice Laboux – di lasciare il Castello entro le 18 dell’11 dicembre, chiamerò la prefettura per l’evacuazione”.

Nessuno abbandona i locali, segue una mobilitazione massiccia – come raccontano i militanti – degli studenti. Il preside sospende la richiesta di evacuazione e il ricorso alle forze armate: “Ho ritenuto – scrive Laboux il 15 dicembre – che avrebbe aggravato la situazione facendo correre rischi troppo grandi alla nostra comunità”. Anche se ha il diritto di espellerli, da quel momento l’università si è impegnata a favorire l’accesso dei migranti a studentati e corsi di laurea per chi li frequentava nel Paese d’origine. Come Diallo, originario del Mali, iscritto alla facoltà di Biologia di Nantes con la stessa smartcard di qualsiasi studente.

I migranti della facoltà di Lettere di Nantes provengono per lo più da ex colonie francesi: Costa d’Avorio, Guinea, Senegal, Mali, ma c’è anche chi scappa dalla guerra civile in Yemen o dal Sudan. Difficile capire quanti sono, “forse un centinaio” dice uno degli attivisti. “All’inizio erano per lo più minori – spiega a ilfattoquotidiano.it – adesso le fasce d’età sono miste, ma arrivano migranti ogni giorno e spesso sono minorenni. La gran parte trova un posto per la notte grazie alle associazioni per l’alloggio, ma tutti trascorrono la giornata all’università”. Come Amani (nome di fantasia), da poco maggiorenne: “Di notte mi ospita un amico – spiega – il resto del tempo lo passo qui perché stiamo bene. Tra noi e i volontari non c’è differenza e la vita si decide insieme”. Le associazioni che si occupano dei migranti sono principalmente tre: Gasprom per la burocrazia, Avec les exilés per le attività formative e l’assistenza di prima necessità, Médecins du monde per i casi di emergenza. Ma sono tanti i volontari indipendenti, per lo più studenti che insegnano ai migranti storia, francese, filosofia.

Amani è stato fra i primi ad arrivare al Censive e ha trascorso due anni nel nostro Paese: “Sono arrivato in Italia con un barcone nel 2015. Ho vissuto a Firenze, poi a Roma, ho cercato lavoro in un ristorante ma è stato impossibile”. Non ha un bel ricordo di quegli anni: “L’Italia è bellissima, ma ho incontrato molti razzisti. Nei centri di accoglienza in cui sono stato ci trattavano male. Qui invece c’è uguaglianza”.

Molti dei migranti che ora sono a Nantes hanno fatto due tappe prima di arrivarci: Libia e Italia. Tra i più giovani c’è Mohammed, 16 anni, guineano. Ha raccontato al giornale online Mediapart di essere arrivato in Libia dopo essere stato venduto da passeur a passeur: “Abbiamo cercato di fuggire durante il viaggio, eravamo circa 15. Ma ci hanno trovati, messo in prigione e torturati”. Mohammed è finito nella prigione di Zabrata: “Eravamo talmente tanti che le donne dormivano coricate, gli uomini in piedi”.

Non è l’unico a cui quelle scene resteranno in testa. I migranti dello Château du Tertre hanno esposto in una stanza del castello le storie anonime di chi è morto sotto i loro occhi nella tratta per raggiungere l’Europa, o di chi non ce l’ha fatta dopo essere arrivato. Come Kantra, originario del Mali, arrivato in Francia nel 2014 e riconosciuto minorenne nell’agosto 2017, poche settimane prima del suo 18esimo compleanno. È morto suicida a Parigi il 21 dicembre, dopo che un intoppo burocratico aveva reso invalido un contratto di lavoro che lo aspettava a Nîmes. In suo omaggio, nell’atelier dello Château campeggia la scritta: “Non siamo venuti fin qui per morire”.

Dai cosiddetti lager libici Mohammed è riuscito a fuggire, raggiungendo Lampedusa e poi Roma, ma anche lui è deluso dal nostro paese: “C’era un razzismo significativo. Ci dicevano che l’Italia non ha colonizzato l’Africa, è la Francia che deve farsi carico di noi”. Così è partito: Ventimiglia, poi Nizza, infine Nantes. Qui Mohammed spera di diventare ingegnere, Diallo docente universitario, Amani calciatore. Non dipende da loro. Intanto il governo Macron continua con “la linea dura”.

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