Il fascismo è sempre violenza, ma non tutta la violenza è spiegabile con l’etichetta di “fascista”. Ora che anche la manifestazione di Macerata è finita, senza neppure gli organizzatori presenti, forse è il caso di fermarsi un attimo a ragionare non tanto sui fatti, ma sulla reazione dell’opinione pubblica. In sintesi: un tizio con una svastica in fronte e il Mein Kampf in camera scende in strada e spara contro degli incolpevoli nigeriani con un fucile e noi decidiamo che il problema è il rigurgito fascista innescato dalla Lega di Salvini invece che il fatto che un matto possa andare in giro armato?

La scelta di presentare il gesto di un folle come il prodotto degli slogan elettorali di Matteo Salvini è frutto del clima di campagna elettorale almeno quanto il tentativo di Salvini stesso di vedervi la reazione a chi non ha le sue posizioni sull’immigrazione. Per la Lega il problema è che ci sono troppi nigeriani in strada, quindi se un tizio spara è chiaro che poi ne prende qualcuno. Per i manifestanti il problema è che c’è troppa ostilità agli immigrati, Traini ha premuto il grilletto ma Salvini ha caricato il fucile.

Siamo reduci da un anno in cui il ministro più popolare del governo è stato Marco Minniti che ha cercato di riportare un po’ di ordine in Libia e di arginare gli sbarchi in Sicilia, accettando qualche compromesso morale probabilmente necessario ma anche ottenendo risultati. Minniti ha tenuto una linea pragmatica che ha contribuito non poco a dare credibilità al governo Gentiloni. Ma il Pd, che per una fase ha rivendicato i risultati di una fermezza ragionevole, poi ha cercato di compiacere il suo elettorato fingendo di voler approvare lo Ius soli (misura più che legittima, ma se la maggioranza in Parlamento ci crede lo porta in aula e ci mette la fiducia, come ha fatto con la legge elettorale, invece di annunciarlo ogni giorno su Repubblica senza votarlo mai). E ora il Pd cerca un sussulto etico contro contro Salvini e un’onda nera fascista che sta sommergendo l’Italia di cui si sono accorti soltanto a Repubblica e dintorni, visto che Casapound e suoi epigoni continuano ad avere percentuali da zero virgola nonostante la generosa attenzione di cui godono in tutti i salotti tv.

Il Pd, per non parlare di Liberi e Uguali, ha scelto di nascondere Minniti e cercare di differenziarsi dal centrodestra con il solito argomento della superiorità morale (noi eredi dei partigiani, voi fascisti). Scelta che contraddice la linea e i messaggi dei mesi scorsi quando tutti i partiti – inclusi Pd e M5S – cercavano consensi assecondando il malcontento di quelli per cui gli immigrati sono sempre troppo. Ma ora, con le elezioni che incombono, Pd, LeU e M5S hanno scelto di marcare la differenza rispetto alla destra sul crinale degli anti-fascisti contro i fascisti, gli umanitari versus gli xenofobi. Il risultato è una certa confusione che dubito abbia qualche effetto sulle intenzioni di voto.

Ma la vicenda di Macerata è inquietante a un livello più profondo. I tanti che hanno manifestato in piazza e sui social contro il nuovo fascismo incarnato da Luca Traini non si rendono conto di aver applicato schemi interpretativi della violenza che hanno contestato per anni. Attribuire gli spari contro i nigeriani al fascismo non è molto diverso che dare la colpa all’Islam per ogni attentato dell’Isis: si cancellano tutte le variabili sociali, individuali, di contesto, economiche e psichiatriche per individuare un motore tutto ideologico alle azioni estreme.  

Ma in tutti gli attentati di nuova generazione – dal Bataclan a Berlino a Nizza a Barcellona a Stephen Paddock di Los Angeles – abbiamo sempre letto le biografie di ragazzi ai margini della società, dropout senza prospettive, mentalmente fragili, che conoscevano l’Islam e il Corano meno di quanto l’italiano medio ricordi il Vangelo dai tempi del catechismo. Disadattati che abbracciano la causa dell’Isis perché lì trovavano un’opportunità di martirio e significato. E’ colpa di Maometto? Dubito. E così Luca Traini: basta leggere le interviste a sua madre, le sue squinternate dichiarazioni dal carcere o i racconti dei suoi conoscenti per intuire che tipo sia. Fare di lui un simbolo, la prova vivente che in Italia c’è un nuovo fascismo, indica superficialità tale che può solo nascondere cinismo politico.

E’ appena uscito in italiano un libro illuminante per capire (anche) Macerata: L’età della rabbia (Mondadori), del saggista indiano Pankaj Mishra, che nell’edizione inglese ha fatto molto discutere. La sua tesi è semplice e di un’ovvietà evidente, ma per questo utile: la declinazione violenta del malessere sociale –  individuale e collettivo – non è un prodotto della cultura occidentale e dell’Islam in particolare, ma affonda nella tradizione occidentale.

Pankaj Mishra costruisce il suo libro sul contrasto tra Voltaire e Rousseau: il primo è l’esponente più celebre di una élite cosmopolita, ricca, aperta, paternalista e cortigiana che prevede benessere per tutti ma non riconosce le disuguaglianze e non legittima il dissenso strutturale. Rousseau è l’incompreso, il tormentato, sempre un po’ ai margini e che proprio per questo riesce a cogliere una rabbia diffusa, capace di “delineare la prospettiva psicologica generale di chi si ritiene abbandonato o cacciato nelle retrovie”. Mishra osserva che la lezione di Rousseau aiuta a spiegare le esplosioni di rabbia che si registrano ovunque: “Chi si sente abbandonato o dimenticato da una minoranza egoista e cospiratrice rischia di rimanere vittima dei seduttori politici di qualsiasi tendenza ideologica, perché a guidarlo non è soltanto la disuguaglianza materiale”.

Anche le nostre società occidentali – quelle che siamo sempre pronti a difendere dopo ogni attentato con l’ipocrita slogan “non ci cambierete” – generano esclusione, risentimento e violenza. E’ sempre stato così, non è colpa degli immigrati. In Italia abbiamo passato tutti gli anni Settanta a spararci a vicenda, tra italiani, morivano i militanti ma anche e soprattutto gente comune, che non aveva più colpe dei nigeriani che passeggiavano per le strade di Macerata. La differenza è che ora, in quella che Pankaj Mishra ha definito “l’età della rabbia” i dropout, i disadattati, le persone che si sentono ai margini della storia e sono tentate da sfogare la loro frustrazione con un fucile o un furgone lanciato sui pedoni sono tante. Non tantissime, ma abbastanza da crearci seri problemi.

Se si sbaglia la diagnosi del problema, si rischia di aggravarlo. Vedere in Luca Traini e nella sparatoria di Macerata il nuovo fascismo serve soltanto a rassicurare la sinistra, a riportarla nel rassicurante alveo di quell’anti-fascismo che si crogiola nella superiorità, che interpreta l’impegno civile nel cantare Bella Ciao senza dover elaborare nuove analisi e nuove risposte. Mentre dovrebbe preoccuparsi di elaborare soluzioni, vincere le elezioni e tradurre i suoi valori in politiche efficaci che riducano al minimo il numero dei disadattati capaci di esplosioni di violenza come quella di Luca Traini.              

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