Entri nella banca dove sei cliente da sempre: all’ingresso una macchina, dove si spera tu ti fermi per fare ciò che sei venuto a fare. Se passi quella porta trovi un impiegato che ti porta a un’altra macchina, a fare l’operazione che una volta faceva lui. Uno solo, in trincea, a difendere la banca dai clienti. Non usi l’home banking?

Hai un problema con la Vodafone, ci metti giorni a raggiungere un umano dell’assistenza, dopo innumerevoli attese, algoritmi decisionali, musichette che si concludono con l’invito a riprovarci.

Amazon crea il negozio senza cassieri.

Posti di lavoro che scompaiono, ma dove finiscono quelle persone? Davvero si crede che questo sia efficienza? Risparmio sì, ma efficienza vera no. Noi siamo animali sociali, vogliamo discutere col libraio, scegliere l’impiegato di banca che ci sembra più bravo o più simpatico, essere visti ed ascoltati.

E ora la riflessione su una notizia che sembra non c’entri: la clonazione delle scimmie cinesi. Gli studi di Harlow sulle scimmie separate alla nascita dalla mamma sono di molti anni fa: le scimmie abbandonate non riuscivano a prendersi cura dei piccoli, avevano seri problemi ad accoppiarsi, erano insomma psicologicamente malate. Come saranno quelle clonate? E perché si fa questo? Per mangiarle? Per i “pezzi di ricambio? Come prova verso obiettivi più ambiziosi?

Mi pare ovvio, considerando la vicinanza genetica con le scimmie, che qualcuno stia già clonando gli umani. E magari proprio in Cina, dove essere individui è poco gradito. E che ne faremo di questi umani? Mi vengono in mente i soldati di terracotta, l’armata dell’imperatore nel mondo dei morti. Mi vengono in mente le tute tutte uguali.

Il mito di Frankestein che si avvera. Con gli stessi esiti, immagino.

Colpisce anche che quando fu clonata la pecora Dolly il dibattito fu ampio; stavolta la notizia è stata dimenticata alla svelta, soppiantata dalle analisi delle liste, dalle promesse elettorali. A proposito, propongo di non votare chiunque voglia ridurre le tasse, spendere soldi che non ci sono ed elargire mance varie. Ci si rivolge al particulare perdendo di vista il collettivo, cioè una volta di più le persone.

E che dire dell’indifferenza per i morti nel Mediterraneo: ci preoccupano quelli che arrivano, anche con buone ragioni, non quelle donne e quei bambini. Nessuna empatia, non proviamo neppure a pensare cosa significa indebitarsi per mandare via un “minore non accompagnato”, perché si salvi. Ho un figlio di sedici anni: provo a pensarlo su un barcone che lo porta che so, in Spagna, con 300 euro in tasca.

Ci giriamo dall’altra parte. Ogni mattina incontro di fronte al bar Wisdom, un ragazzo nigeriano. A volte ci parlo e gli offro la colazione, a volte me ne libero con una moneta, a volte spero che non ci sia o  passo di fretta con un cenno stiracchiato di saluto. Quindi non so più se sono di destra di centro o di sinistra, se sono cristiano, buddista o menefreghista; dipende dalle giornate. Vorrei fargli fare qualche lavoretto invece di dargli monete umilianti, ma temo poi di trovarmelo sempre sotto casa. Sento che la scomparsa dell’umano è un virus che porto in me.

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