Solo una cosa fa più paura della malattia: vivere quella malattia lontano da casa. Prima che alle ossa, ai muscoli e al petto, scoprire il male che porti dentro ti prende alla vista: occhi annebbiati, un timore latente da leggerci dentro. La vita si vela d’incertezza e allora non puoi far altro che metterla in pausa, chiudendo il superfluo in una parentesi ampia come un’esistenza intera. Ma se sulla terra a cui appartieni non trovi né cura né speranza, allora tra parentesi devi metterci praticamente tutto: i luoghi, gli affetti, il lavoro. Espressione di malinconia da sommare ad altre migliaia di espressioni simili. Il totale, calcolato da un’indagine di Quotidiano sanità, al momento fa 4,3 miliardi di euro. Soldi pubblici per spese mediche che il Sistema sanitario nazionale sottrae alle Regioni dell’emigrazione e aggiunge ai bilanci di chi, evidentemente, cura meglio. Un sistema in pareggio ma ìmpari, che valorizza i ricchi e spoglia i poveri. Meritocrazia non sempre è sinonimo di giustizia.

Così il traghetto della Sanità, dove salute e fatturato viaggiano fianco a fianco, spesso risale verso Nord e fa bene a tutti, ai pazienti e a chi li riceve. All’Emilia, che con il +9% ha il miglior saldo di ricoveri extraregionali; alla Lombardia, prima nella conta del credito con +657 milioni di euro. Se tanti malati guardando al cielo trovano lo sguardo pietoso della Madonnina non è per miracolo ma per un business a cui la Conferenza delle Regioni ha messo un tetto: non terrà bassi gli sguardi ma le spese per chi accoglie accenti lontani. Una sorta di secessione della salute, di “Prima i regionali”. Un tetto che conterrà le disuguaglianze mediche tra Nord e Sud, ma vallo a spiegare a chi scappa dalla malattia e dall’inefficienza. Fortunatamente per loro, ci sono le eccezioni del buonsenso: casi ad alta complessità, tumori, trapianti, ustioni, incidenti stradali e interventi spinali potranno cercare guarigione su qualsiasi barella di questo Paese dove non tutti siamo uguali, figurarsi i pazienti. Il problema è che le eccezioni finiscono lì, e forse anche il buonsenso.

Perché quando ti ammali, nella parentesi di una vita intera non metti il denaro. Quello lo nascondi nel borsone col pigiama e lo porti con te, tutto. Visite, viaggi e alloggi inginocchiano i risparmi proprio mentre la saracinesca che ti sfama non può più sollevarsi. La paura di scavare tra i debiti. Non solo nell’America di Trump: anche in Italia il diritto alla salute è scritto negli estratti conto di migliaia di famiglie: 937mila cittadini, a voler essere precisi. Un fiume mesto e silenzioso, che confluisce nelle sale d’attesa dove ristagna aspettando buone notizie o di finire sul lastrico. Una marea a cui non importa degli affari regionali ma degli affitti immorali, delle tariffe aeree che decollano e non atterrano più, delle speculazioni mascherate con qualche garza.

Io non sono politico né economista né medico, ma ho atteso su quelle fredde sedie di plastica. Allora mi chiedo se in questi giorni di promesse ci sia qualcuno che voglia dire due parole, tra le tante, per quel milione di famiglie che è ancora accovacciato lì. Parlare di agevolazioni nei viaggi dei pendolari della malattia, di posti letto per chi li accompagna, di sostegno al reddito per tutti gli impieghi e magari del perché in certe Regioni la sanità sia un po’ meno diritto che in altre. Un impegno, forse troppo, ma un’attenzione, quella sì, per chi ha la vita tra parentesi e nel borsone solo pigiami. Nel 2016, oltre 12 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure per motivi economici.

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