Diritti

Le sex workers non vogliono affatto la riapertura delle case chiuse

Se a Pia Covre, presidentessa del comitato per la difesa dei diritti civili dei/delle sex workers, chiedi cosa pensa della proposta leghista di riaprire le case chiuse ti dirà, come ha già affermato, che non solo dubita del fatto che nel corso della campagna elettorale si parli disinteressatamente di prostituzione e poi ancora che se ne parli lo fai come fosse un problema di ordine pubblico. Chiudere le sex workers da qualche parte affinché i cittadini non le vedano per strada. Questo è quello che traspare da certe proposte pretestuose lanciate in questo periodo.

Lei e molte altre da tempo lottano affinché cambi l’approccio al problema ma, soprattutto, affinché le prime ad essere interpellate quando se ne parla siano proprio le sex workers. Sul sito del Comitato si trova scritto con chiarezza che le sex workers non vogliono affatto la riapertura delle case chiuse, la gestione in mano ai papponi per conto dello Stato Pappone. Chi dice questo, e parlo per esempio di un articolo abolizionista condito di falsità dove si scrive che Pia Covre si batterebbe per la riapertura delle case chiuse (Quando? Dove?), racconta balle.

Che si tratti della Lega o di “femministe abolizioniste della prostituzione”, ritenendosi uniche detentrici di verità al punto da negare l’esistenza di sex workers che vogliono che si regolarizzi il lavoro per quelle che lo svolgono per scelta, in entrambi i casi non si tiene conto dei programmi, dei desideri e del pensiero politico delle sex workers. In entrambi i casi troviamo sovradeterminazione e reinterpretazione di un fenomeno per riscriverne i contorni a proprio uso e consumo.

In ottobre, per esempio, si tenne alla Casa Internazionale delle Donne di Roma un’iniziativa che parlava di sopravvissute dello sfruttamento. Nulla di male non fosse che testimonial e abolizioniste non presero a generalizzare negando che esistano altre realtà. A provare a mostrare un altro punto di vista sono state le compagne del collettivo di femministe e sex workers Ombre Rosse, cacciate in malo modo (“andate a fare le marchette sul marciapiede…”) e insultate ancora sui social nei giorni successivi all’evento.

La misoginia di alcune donne contro le sex workers è un dato già analizzato, non si può negare che esista. L’intolleranza da parte di quelle che vorrebbero essere le uniche a poterne parlare è visibile in ogni discussione sui social, inclusa quella a proposito dell’iniziativa che oggi, 20 gennaio, alle 16.00, ancora alla Casa Internazionale delle donne di Roma, proprio in materia di sex working. Una iniziativa in cui femministe e sex workers si interrogano sulla capacità di inclusione del movimento femminista nei confronti delle sex workers.

Potranno parlare alle nostre assemblee? Potranno contare sul fatto che nessun@ usi la vittimizzazione per togliere loro il diritto di esprimersi? Potranno stare in corteo con noi come già è stato il 26 novembre scorso alla mega-manifestazione di Non Una Di Meno? Per quel che riguarda molte assolutamente sì. Non fosse loro permesso di manifestare con noi contro la violenza di genere che si abbatte su di loro tanto quanto sulle altre persone direi che senza alcun dubbio io e tante saremmo – come siamo – schierate a supportarle.

Questo ulteriore esempio spiega perché sia così difficile far sentire la voce delle sex workers affinché dicano la propria opinione che non corrisponde né alle cattiverie e alle menzogne delle abolizioniste né ai pareri pretestuosi e cripto/moralisti dei rappresentanti della Lega.

Nel frattempo il Comitato per la Difesa dei diritti civili delle persone prostitute pubblicizza un evento che si svolgerà a Trieste il 24 gennaio dal titolo “Raccontiamo le nostre case, le nostre stanze“. Questa la differenza fondamentale tra chi fa campagna elettorale sui corpi delle persone che vendono servizi sessuali e sui/sulle sex workers che riflettono su se stess* ed elaborano programmi che nulla c’entrano con quel che si dice ora sui media.

Non vogliono la riapertura delle case chiuse. Vogliono che della legge Merlin sia eliminata la parte in cui si accusa per favoreggiamento e sfruttamento l’amica, la collega, la persona che con te lavora nello stesso appartamento. Perché Merlin ha pensato una legge che alla fine marginalizza e criminalizza i/le sex workers obbligandol* a stare sol* e per strada. Se non ti possono affittare una stanza – giacché il padrone di casa viene accusato per favoreggiamento – se non puoi lavorare con altre donne, senza un pappone, senza sfruttamento, al chiuso, con regole per igiene, prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili e sicurezza, dunque in cosa la Merlin proteggerebbe le sex workers? E che dire di chi afferma che le sex workers non pagano le tasse? Non è affatto vero. Le pagano eccome, solo che non vengono loro riconosciuti diritti di alcun tipo.

Dunque il programma leghista non libera affatto le sex workers ma intende rinchiuderle per una questione di ordine pubblico. Si pretende che paghino, come già fanno, le tasse senza riconoscere loro il diritto di scegliere come, dove, quando e con che livello di sicurezza lavorare. Diversamente si ragionerebbe di regole, di cooperative, di autogestione dei/delle sex workers, di riconoscimento della loro professione, di una partita Iva con una voce che dia liceità ai guadagni e con il diritto a poter ottenere assistenza sanitaria con specifici obiettivi e a poter ottenere la pensione (tasse=pensione). Se non si parla di tutto questo allora non si capisce di cosa si stia parlando. O no?