Quando cinque anni fa una delle attrici più ammirate del mondo annunciò di essersi sottoposta a una doppia mastectomia per evitare le conseguenze del tumore che aveva ucciso la madre e la zia, moltissime donne si precipitarono a fare esami e screening. Oggi, dopo che Angelina Jolie ha deciso tre anni fa di farsi rimuovere anche le ovaie, arriva la notizia che la mutazione del gene Brca, che aumenta fino a otto volte il rischio di cancro, non è una condanna a morte, dato che se si ha un tumore al seno le probabilità di sopravvivenza sono le stesse rispetto alle pazienti che non hanno il Dna mutato. Almeno questo è quello che uno studio dell’università di Southampton pubblicato dalla rivista Lancet Oncology, che ha anche provato che la mastectomia dopo la diagnosi non ha effetti sulla speranza di sopravvivenza. L’attrice dichiarò di essersi sottoposta agli interventi perché non voleva che i suoi figli perdessero la madre presto come invece era accaduto a lei.
Lo studio ha esaminato i dati di 2733 donne tra i 18 e i 40 anni che avevano avuto una diagnosi di tumore al seno, di cui il 12% aveva la mutazione. A dieci anni dalla diagnosi non erano sopravvissute al cancro 651 donne, e la mortalità è risultata uguale in entrambi i gruppi. Un terzo delle donne con la mutazione aveva optato per la doppia mastectomia, sottolineano gli autori, ma questo tipo di intervento non ha cambiato la probabilità di sopravvivenza. “Questo ci dice che l’intervento radicale non deve essere fatto subito, insieme agli altri trattamenti – sottolinea alla Bbc Diane Eccles, l’autore principale -, anche se probabilmente la mastectomia può dare benefici a lungo termine, venti o trent’anni dopo la diagnosi iniziale”.
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