Via gli ultimi cavalli, lucchetti alle serrature, pronti i sigilli: agonia finita per lo ippodromo Caprilli di Livorno, a due passi dallo stadio di Ardenza, non solo storico impianto sportivo di livello nazionale e internazionale (aprì nel 1894) ma anche polmone verde a pochi passi dal lungomare e per intere generazioni di giovani cuore pulsante delle serate estive. Il curatore fallimentare della Labronica corse cavalli, società tutta pubblica del Comune, ha sigillato l’impianto, da mesi in stato di abbandono e vittima di atti vandalici. L’ultima corsa risale al dicembre 2015, da allora le luci non si sono più accese. Sulla “morte” dell’impianto ha pesato la crisi dell’ippica ma si sono aggiunti anche anni di scontri politici, battaglie giudiziarie e polemiche sulle gestioni. Il Comune a guida Pd nel 2012 aveva affidato la gestione trentennale del Caprilli alla pisana Alfea ma dopo alcuni contrasti il caso è finito in tribunale: la società, sulla base di sentenze di Tar e Consiglio di Stato, chiede ora 3 milioni di euro di risarcimento.

Il risultato è che le ultime due stagioni sono saltate, la struttura tornerà al Comune e l’assessore allo Sport Andrea Morini ipotizza la nascita di una Cittadella dello sport, idea di cui per dire il vero i livornesi sentono parlare almeno da una decina d’anni e che però è di là dall’essere anche progettata. Nel frattempo si accende la polemica politica sulla distribuzione delle colpe. “Oggi è il primo giorno dal 1894 che il Caprilli è completamente chiuso, sigillato, stoppinato – attacca il consigliere regionale Pd Francesco Gazzetti – Portati via anche gli ultimi cavalli. Questo luogo ha resisitito a ben due guerre mondiali ma nulla ha potuto davanti all’amministrazione Nogarin”. “Colpa delle precedenti amministrazioni” è stato più volte ribattuto dal fronte grillino. L’ultimo bando del 2012, spiega meglio il sindaco Filippo Nogarin, era “scritto con i piedi”.

L’inizio del tunnel (mai finito)
Il Caprilli era infatti gestito dal 1975 dalla Labronica Corse, che dal 2010 è proprietà del Comune al cento per cento. Ma nel febbraio 2011 la società va in liquidazione e l’amministrazione Pd affida la gestione dell’ippodromo all’Alfea, cercando di andare sul sicuro visto che la società gestisce anche un altro impianto prestigioso, quello di San Rossore a Pisa. Dopo una gara andata deserta e una procedura a trattativa privata la convenzione con Alfea si estende su trent’anni. Nell’intesa si prevede tra l’altro che la società riassuma 7 dei 19 dipendenti della vecchia società comunale. Ma in realtà l’intesa non si chiude mai, fin dall’inizio: l’accordo finale non arriva perché il Comune avvia un negoziato parallelo per aumentare il numero di dipendenti da assumere. E mese dopo mese il confronto diventa sempre più acido con il presidente di Alfea Cosimo Bracci Torsi che arriva a lamentarsi nel 2013 della “mancanza di manutenzione degli impianti” e delle “condizioni di degrado tali da richiedere interventi impegnativi per costi e tempi”. Finché i contrasti si allargano ai lavoratori che chiedono garanzie, fino ad occupare l’impianto. La soluzione temporanea del Comune, alla fine, è far gestire la stagione di quell’anno alla vecchia Labronica.

L’Alfea rimane appesa e il Comune – poche settimane prima del passaggio di consegne tra Pd e Cinquestelle – avvia il procedimento per la decadenza della concessione all’azienda pisana. Cambia il sindaco, Nogarin dà il via a un’ennesima procedura per la gestione dell’ippodromo almeno fino a fine anno e vince la Livorno Galoppo Srl che poi resterà in realtà fino a fine 2015. E l’Alfea? E’ appesa, ma non arresa e trascina l’amministrazione comunale in tribunale. E i giudici le danno ragione due volte, prima al Tar e poi definitivamente al Consiglio di Stato: l’ippodromo, insomma, dev’essere gestito da Alfea.

Dopo che il liquidatore della Labronica – la vecchia partecipata – promuove un’azione di responsabilità verso gli ex amministratori e revisori per una presunta “mala gestio” (ma il Comune ha sempre approvato i bilanci…), il Comune decide di non ricapitalizzare e d’altra parte non lo fece nemmeno con Aamps, come noto, e per giunta qui si poteva profilare anche un rischio di danno erariale. Così la società fallisce. “Ma questo non pregiudica il futuro dell’ippodromo” assicura a quel tempo Nogarin. In quel momento dentro l’ippodromo ci sono ancora 40 cavalli e circa 150 operatori.

L’Alfea: “Ippodromo abbandonato a se stesso”. E chiede 3 milioni
Ma nel frattempo Alfea, dopo aver litigato con l’amministrazione Pd, se la prende anche con quella guidata dal M5s. “Incuria e carenze gestionali hanno devastato l’ippodromo rendendo addirittura inagibili alcune strutture. L’impianto è fuori controllo, esposto ai vandalismi e agli agenti atmosferici” dice la società. Nogarin replica: “Alfea traccheggia, un atteggiamento che già tre anni fa aveva rischiato di portare l’ippodromo al tracollo”. Ma Alfea controbatte, accusando il Comune di “goffi tentativi di scaricare su altri le proprie colpe”. Salta un’altra stagione, l’ippodromo lentamente muore.

Così a inizio 2017 è l’Alfea a chiedere la rescissione di ogni rapporto con il Comune con una richiesta di risarcimento danni di oltre 3 milioni: il ricorso è in attesa di essere discusso. “Nel 2013 dovevamo entrare in possesso della struttura. Con il passare degli anni l’ippodromo è stato abbandonato a se stesso: depredato, illuminazione ko, cabine elettriche sventrate. Le condizioni strutturali dell’ippodromo sono insomma ben diverse da come lo avevamo trovato nel 2012” dichiara oggi al FattoQuotidiano.it il direttore di Alfea Emiliano Piccioni. IlFattoQuotidiano.it ha cercato più volte di contattare l’assessore allo Sport Andrea Morini per una replica, invano. “Nel corso di questi tre anni – aveva detto al Tirreno – abbiamo più volte sollecitato la società a prendersi in carico l’area. La risposta è sempre stata negativa, con Alfea che ha addotto motivazioni tutt’altro che serie per il suo rifiuto”.

I lavoratori? La Cgil: “Dramma sociale”
Oltre alla perdita di uno dei luoghi che di più hanno contribuito alla bellezza e anche all’identità della città, resta la questione dei lavoratori. “Un dramma sociale” lo definisce il sindacalista Beppe Luongo, della Cgil. “L’ultima speranza per questi lavoratori sono le aziende partecipate del Comune, perché sono inseriti di diritto nelle graduatorie: ma il tempo è tiranno, le graduatorie scadranno a fine anno“.

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