Un grattacielo di 19 piani, vecchia sede dell’Agenzia delle Entrate, in disuso da quasi dieci anni. E’ all’asta ma nessuno si è mai presentato. Così, ora, quella Torre è diventata la casa di chi non può più permettersela. Disoccupati, soprattutto, famiglie monoreddito che non riescono a pagare l’affitto. All’inizio erano 20 famiglie, poi sono diventate 56. In tutto 200 abitanti, la Torre è occupata fino al sesto piano. E’ la storia simbolo di una crisi abitativa che vede Livorno in testa alle classifiche per sfratti esecutivi: ce ne sono 40 al mese, dice il sindacato Asia Usb, a fronte di una media bassissima di assegnazioni (nel 2016 16 in tutto l’anno). “I 1200 euro non sono il milione e 200 di una volta – dice Gianfranco che abita nel grattacielo con moglie e tre figli dopo che ha perso il lavoro – Oggi chi guadagna 1600 euro non ce la fa a mantenere una famiglia, chi ne prende 1000 è alla fame. Chi è a meno di mille… è così”.

Gli abitanti del grattacielo si autogestiscono, come spiega Gianfranco. Il giovedì c’è l’assemblea, decidono per esempio lavori di manutenzione o pulizie di spazi comuni. “Rinunciamo a tutto: i vestiti, diminuiamo le cose da mangiare – racconta Roberto che con la famiglia è stato il primo ad occupare – Una volta c’avevamo l’auto, ora nemmeno più quella”. “Avevano un banco di frutti di mare – ricorda la madre 91enne trattenendo la commozione – Ne vendevamo a quintali, rifornivamo tutti i ristoranti di Tirrenia e Marina di Pisa“. Con la sua pensione da 650 euro vivono lei e altri 5 familiari. “A un certo punto bisogna rimboccarsi le maniche con tranquillità – dice Gianfranco – Che è una cosa difficile la tranquillità, perché la situazione è questa… Ma si va avanti”.

Sul grande palazzo incombe ora un’ordinanza di sgombero. Il sindaco Filippo Nogarin spiega chiaro che “nessun Comune medio sarebbe capace di riassorbire una situazione del genere”. “Facciamo di tutto – continua il primo cittadino – ma abbiamo bisogno dell’aiuto della Regione e dello Stato”. Per l’Asia Usb tuttavia il problema è profondo e nasce da lontano: “C’è bisogno di alloggi pubblici, il resto sono chiacchiere – spiega Giovanni Ceraolo – Purtroppo negli ultimi anni le leggi hanno permesso di vendere anche con formule di riscatto. Durante i piani di recupero è avvenuta la demolizione di interi blocchi senza però costruire un numero pari di alloggi”.

“Se avevo un lavoro, non mi interessava venire qui – allarga le braccia Iaho che abita qui con moglie e figli – Non è un posto per abitare qui. Mi vergogno a dirlo, ma chiedo la carità, mi aiuta la Croce Rossa, ho amici che mi portano la spesa. Spero che i miei figli abbiano un futuro, sono giovani. Ma io…”. Si interrompe. Da 4 anni Camelia va a chiedere una casa in Comune. “La coperta è corta – risponde Nogarin – Non perché siamo cattivi. Ma gli enti locali sono falcidiati dai tagli. E quindi innanzitutto dobbiamo essere rigorosi nell’applicare le regole”. “Io non andrò via da qui – spalanca gli occhi Camelia – Anche se mi fanno chissà cosa. Non voglio che mia figlia stia male nella sua vita”.

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