Un default tecnico che – per decreto – è un “non-default”. E una banca per la quale sembrava spianata la strada del salvataggio con fondi pubblici che vede nuovamente avvicinarsi lo spettro della risoluzione. Ciò che è accaduto in poche ore sui due tavoli delle banche venete e di Siena scopre ancora una volta il bluff di un governo che sulla questione della crisi bancaria continua a brancolare nel buio, al punto da approvare norme che espongono lo Stato a rischi enormi di contenzioso.

Il mantra di queste ore è che la soluzione per le banche venete è vicina e che Bruxelles lavora “in stretta cooperazione con le autorità italiane”. Intanto però, il consiglio dei ministri venerdì ha decretato la proroga della scadenza per sei mesi dei bond delle banche che hanno richiesto l’intervento dello Stato. Una proroga che – secondo quanto riferisce l’agenzia Ansa – non comporterebbe “inadempimento”. Come dire che lo Stato, pur non essendo (ancora) azionista delle suddette banche, si arroga il diritto di stabilire che i debiti contratti da privati e tra privati possono non essere rimborsati alla scadenza: un’enormità dal punto di vista giuridico, dato che lo Stato su quei particolari debiti non ha alcuna voce in capitolo. Quelle stesse banche in questi mesi hanno poi emesso prestiti obbligazionari per oltre 10 miliardi di euro con la garanzia statale.

Il provvedimento è fatto per evitare quello che internazionalmente sarebbe considerato un default tecnico da parte di Veneto Banca che il 21 giugno sarebbe chiamata a rimborsare un prestito subordinato sottoscritto in gran parte dai suoi correntisti, i quali si troveranno dunque “cornuti e mazziati”: cornuti perché a molti di loro questi titoli sono stati fraudolentemente venduti come “sicuri” e mazziati perché lo Stato ha deciso che, nonostante la scadenza, a loro non debba essere restituito il capitale perché la banca controllata dal fondo Atlante non è in grado di rimborsarlo. Tutto questo in attesa di un piano di salvataggio che l’Italia starebbe negoziando con Bruxelles ma che nella pratica ancora non esiste.

Un vero e proprio abuso di potere da parte di un governo che non sa più da che parte voltarsi per evitare il bail-in delle due banche venete e che continua a fare pressioni improprie sul mondo bancario e assicurativo per realizzare uno pseudo-salvataggio, al punto da promettere di iniettare nuove, importanti risorse per gestire gli esuberi bancari. Una vergogna.

Ma la Caporetto bancaria è senza fine: dell’accordo con le autorità europee sul salvataggio del Monte dei Paschi di Siena ancora non si sa nulla, ma il Tesoro ha ribadito che ormai è cosa fatta. Invece, cosa fatta non è anche perché – come più volte scritto – non si è ancora trovato l’accordo sui termini della cessione della montagna di crediti in sofferenza che fanno capo all’istituto senese. E anzi, avendo affidato in esclusiva fino al 28 giugno la trattativa al fondo Atlante (quello che è stato costituito con l’obiettivo folle di strapagare i crediti in sofferenza rispetto all’effettivo valore di mercato) e ad alcuni fondi specializzati, questi ultimi si sono alzati dal tavolo e hanno anche sbattuto la porta. Si tratta di Fortress, Elliot e Credito Fondiario che avrebbero dovuto farsi carico di metà degli 1,7 miliardi richiesti per la cartolarizzazione di circa 26 miliardi di crediti in sofferenza di Mps. Atlante si era impegnata a versare 450 milioni per la cartolarizzazione dei crediti delle due banche venete, che controlla al 99,9%, e se dovesse sostituirsi agli altri fondi farebbe venir meno un apporto essenziale per il salvataggio delle due ex popolari venete.

La trattativa in esclusiva sui crediti Mps scade appunto il 28 giugno, cioè tra pochi giorni, e ciò che è stato finora dà una concreta misura del grado di improvvisazione delle autorità italiane che – dopo mesi di trattative – rischiano ora di trovarsi nuovamente con ben tre banche a rischio di risoluzione e con un contenzioso miliardario in capo allo Stato italiano che, per decreto, ha prorogato di sei mesi le scadenze dei debiti delle banche senza curarsi degli effetti giuridici. Se questo è il modus operandi del governo – cioè la disperazione – è evidente che presto l’attenzione si sposterà dalle sofferenze bancarie al debito nazionale e allora saranno davvero dolori per tutti.

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