E’ diventata virale per qualche ora nel mondo arabo la foto di Donald Trump con la scritta in arabo “ti amiamo”. L’immagine ha cominciato a circolare sui social network dopo l’attacco americano alla base aerea di Shayrat, da dove si presume martedì 4 aprile sia partito l’aereo che ha compiuto il raid con armi chimiche – contestato dalla Russia – sulla città di Khain Sheikhoun, vicino a Idlib, in Siria.

La foto fa il verso a un famoso poster con la foto di Assad e la scritta “ti amiamo”, onnipresente in tutto il territorio siriano controllato dal governo di Damasco e, prima della guerra, in tutto il paese. Un caso analogo era capitato nell’agosto del 2015, quando la Germania aveva annunciato di “aprire le porte ai siriani”, sospendendo il trattato di Dublino. Allora, molti siriani avevano impostato come foto del profilo l’immagine di Angela Merkel con la scritta in arabo “ti amiamo”, ma lo avevano fatto per lodare la decisione della cancelliera tedesca.

Uno dei tanti utenti dei social che, poche ore dopo l’attacco statunitense in Siria, ha condiviso la foto di Trump, seguita dallo slogan in arabo, è Mostafa Mahamad, siriano. “Ho visto un siriano con questa foto profilo – ha scritto Mahamad sul suo account. Mi aspetto di vederne di più”. Immediate le reazioni ironiche di alcuni sostenitori del governo di Damasco che hanno risposto pubblicando diverse immagini di Abu Mohamad al Jawlani, a capo dell’Organizzazione per la liberazione del Levante, ex Fronte al Nusra – braccio siriano di Al Qaeda – con la capigliatura bionda di Donald Trump.

Anche Karl Sharro, famoso blogger satirico, con oltre 95mila follower su Twitter, ha cinguettato sarcastico: “Trump ha scoperto velocemente il principio magico della politica americana: quando le cose vanno male a casa, comincia una campagna militare in Medio Oriente”.

Sulla stessa lunghezza di Sharro, ma senza ironia, l’analista e scrittore Mohamed Rachid. “Gran parte dei motivi della decisione di Trump di colpire la Siria hanno motivazioni interne, come la necessità di negare le relazioni con la Russia durante le elezioni” presidenziali, scrive Rachid riferendosi al Russiagate che sta mettendo in difficoltà l’amministrazione guidata dal miliardario newyorkese. Ma, nonostante l’uso di armi chimiche, i giochi rimangono invariati secondo Khalil Al Moqdad: “Cloro, fosforo e oggi napalm su Al-Lataminah – twitta lo scrittore siriano – ma il raid di Trump non doveva essere un deterrente che cambiava le regole del gioco? Ma cosa è cambiato?”

Il dibattito sull’intervento Usa in Siria ha coinvolto anche cittadini comuni. Mostafa Osman, dall’Egitto, sostiene che non è cambiato nulla, anzi. “Sono morti 13 bambini a causa di un missile nella periferia di Raqqa… questo è Trump, gente”. Di parere opposto un suo connazionale, Ahmed Dt, medico, che twitta: “Gli Usa volevano aiutare nella lotta al terrorismo! Ma l’America non riconosce il terrorismo! E’ la storia della Siria”. Per Rania Asal, libanese, accade quello che è avvenuto con George W. Bush nel 2003: “Avete colpito l’Iraq e avete detto che c’erano le armi chimiche. Avete colpito la Siria dicendo che era per i bambini. Quanto sei oppressiva, arma chimica!”.

Simpatizzante di Hezbollah, Abu Turab313 se la prende con gli arabi: “ Il raid americano ha preso di mira la base di difesa aerea che ha abbattuto l’aereo israeliano –  rivendicato dall’esercito siriano il 17 marzo scorso. Di cosa siete felici, arabi?”, il tweet che fa riferimento all’annuncio dello stato maggiore delle forze armate siriane, che il 17 marzo affermava di aver colpito un caccia israeliano sopra la regione di Bureij, vicino al confine con il Libano.

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