Non posso accettare che si dica che i terroristi “ci stanno riuscendo” o peggio ancora “ci sono riusciti!”: sarebbe la sconfitta prematura dell’intelletto, dell’etica e dei valori dell’umanità.

Ogni volta che ho fatto presente quanto si viva in un’epoca di assuefazione e di una terrificante attitudine al “oramai è normale”, sono stato bersaglio di commenti che spaccavano l’opinione. Non cerco fan, cerco – piuttosto, sempre di più – persone che abbiano voglia di lottare nel quotidiano e che non dimentichino quanto sia importante restare in allerta. Non fa più effetto un attentato, non indigna più come il primo mediaticamente eclatante che ci ha trasformato in Charlie? Non esponi più il tricolore francese? Non la metti oggi la bandiera della Gran Bretagna o della Russia?

Cosa, coooosa, cosa è successo? Qualche giorno fa Londra, ora San Pietroburgo, e tu stai tranquillo adesso? È drammaticamente sceso il livello di empatia, perché ci si abitua. Ormai si vive con la coscienza del “vabbe’, può succedere!”. NO! Devo gridare “NO!” Tu, devi, devi urlare al mondo che non possiamo permetterlo e non dobbiamo aspettare che succeda a casa nostra per risvegliarci! E non parlatemi di distanze geografiche, perché ormai l’assuefazione è dominante, NO! NO!

Il mondo lo hanno cambiato sempre in pochi – possibilmente considerati folli, specialmente se ambivano a costruire la speranza – e con grande e nitida percezione del “bene”. Anche oggi, esiste qualcuno che sta davvero lottando! E io voglio continuare ad essere tra loro. E tu? 

Tra i vari ho scoperto un ragazzo italiano, Bruce Gil, un creativo, un appassionato di storie e di tecniche per raccontarle. Arrivato in Australia, dopo poco tempo e dopo vari lavori artistici e di business vari, un giorno per caso lesse un’offerta di lavoro: cercavano un editor e filmmaker per un documentario commissionato da The Institute for International Peace Building (Indonesia). Da quel momento si è aperto un universo: ha incontrato lo scrittore Noor Huda Ismail – esperto di terrorismo, regista e scrittore indonesiano –  ed è stato incaricato di prendere in mano l’aspetto produttivo (parte delle riprese, la composizione del sonoro e l’editing) del documentario Jihad Selfie – la vera storia di un ragazzo di 17 anni di Aceh (Indonesia), che vuole lasciare la scuola e unirsi all’Isis a causa del fascino dei social media. Il messaggio veicolato dai jihadisti lascia credere al ragazzo che diventare membro dell’Isis possa dargli importanza e gratificarlo umanamente.

Nel documentario vengono anche visitate le moschee dove esponenti e membri dell’Isis si incontrano per pianificare le prossime mosse; sono intervistati esponenti estremi e pericolosi, tra cui Fauzan al-Anshori  – in una delle sue ultime apparizioni prima della morte.

Di Jihad Selfie ne hanno parlato The Sydney Morning Herald e The Australian (Australia), The Washington Post, Rolling Stone, The Straits Times, The Jakarta Post, Tempo Magazine, Kompas e The Conversation, televisioni la CNN Indonesiana, la SBS, la Cna e la ABC Australia, oltre a Google con cui Noor sta lavorando a stretto contatto sull’utilizzo della tecnologia per contrastare la diffusione della violenza dell’ideologia.

Dunque? Dunque troviamo nuove tecniche, nuovi linguaggi, rivoltiamogli contro gli stessi strumenti di arruolamento: usare i social media per combattere gli usi infami dei social stessi. C’è gente che ci crede, gente che vuole correggere il male, gente che s’impegna per recuperare ragazzi arruolati dalle organizzazioni terroristiche più spietate. Ragazzi che cercano nuove strade, usano le arti della comunicazione per far passare i messaggi più duri, reinterpretare gli argomenti più pesanti in una chiave più digeribile dalla massa e dalle nuove generazioni, le più sensibili e a rischio. Gente che documenta per fare sapere e veicolare con leggerezza e determinazione.

Jihad Selfie, adesso viene utilizzato nelle scuole e nelle università come strumento per informare ed educare i giovani, per creare momenti di riflessione sull’argomento come forma di prevenzione al terrorismo nei paesi dell’Asia e del Pacifico. Ma è solo un esempio di ciò che si può fare.

Se oggi l’Isis è in crisi, è grazie alla lotta ma, ad esempio, migliaia di combattenti caucasici andati in Medio Oriente stanno tornando in patria dopo i fallimenti della guerra cecena e, con l’esperienza fatta sul campo e carichi delle ideologie distruttive, si potrebbero infiltrare ancor di più anche in Europa – come lo stesso Putin, per lo più inascoltato, avverte da tempo. Bisogna impegnarsi, senza se e senza ma, senza timore. La più grande occasione che abbiamo nella vita è la capacità di influenzare le persone e scegliere di farlo positivamente e farlo ogni giorno. Senza accettare che ormai le cose sono tali e avendo la coscienza di poter cambiare i corsi della storia con la volontà.

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