La parità salariale tra uomini e donne è ancora un miraggio ovunque, ma non più in Islanda. Martedì 29 marzo è diventato infatti il primo Paese al mondo a obbligare per legge tutti i datori di lavoro a dimostrare che i lavoratori ricevono lo stesso stipendio a parità di mansione e indipendentemente dal sesso. Ogni compagnia pubblica o privata con più di 25 dipendenti dovrà infatti fornire documentazioni e certificazioni in grado di provare l’uguaglianza salariale di genere, segnalando e correggendo qualunque divario superiore al 5 per cento. Secondo l’ultima indagine Oxfam, gli uomini nel mondo guadagnano il 23 per cento in più delle donne.
“Vogliamo abbattere le ultime barriere retributive legate al gender in ogni posto di lavoro”, ha annunciato al New York Times il ministro degli Affari sociali e dell’uguaglianza, Thorsteinn Viglundsson. “La storia ha mostrato che a volte se vuoi il progresso sei costretto a imporlo dall’alto contro chi vi si oppone”.
Da oltre mezzo secolo l’Islanda è all’avanguardia per quanto riguarda la cosiddetta “gender equality“, l’uguaglianza di genere: nel 1980 ha eletto la prima presidentessa donna del mondo, Vigdis Finnbogadottir; metà dei ministri sono donne; le quote rosa funzionano nei consigli di amministrazione e l’80 per cento delle donne lavora. Eppure le discriminazioni di genere non sono ancora scomparse e, secondo i dati del governo, le donne guadagnano tra il 14 e il 20 per cento in meno degli uomini. Con questa nuova legge, l’Islanda intende colmare il divario entro cinque anni.
“I pari diritti sono diritti umani,” ha spiegato Viglundsson. “Dobbiamo assicurarci che uomini e donne godano di pari opportunità sul posto di lavoro. Bisogna avere il coraggio fare passi avanti, di essere audaci nella lotta contro l’ingiustizia.” La notizia della nuova legge arriva tre settimane dopo che l’eurodeputato polacco Janusz Korwin-Mikke aveva affermato, proprio in occasione del dibattito sulle differenze salariali, che le donne dovrebbero guadagnare meno “perché più deboli, più piccole e meno intelligenti”.
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