Era stato proprio Paolo Putti a raccontarmi che i quadri Cinquestelle provenienti da antiche militanze nel sociale definivano “thugs” – teppisti – i neofiti fanatizzati del Movimento. Come gli antichi strangolatori indù, seguaci non di un disegno politico quanto adepti assatanati di un credo iniziatico, in cui l’adesione comporta l’immediata sottomissione adorante alla suprema volontà del leader divinizzato. Del resto taluni di loro avevano attraversato, quale passaggio intermedio alla conversione, una precedente passione dipietrista; in modalità credenti tanto acritiche quanto ringhiose, che già evidenziavano il manifestarsi di un culto fideistico del Capo.

Cervello all’ammasso, che ora diventa delirio collettivo e persegue la purificazione del mondo perseguitando i non sufficientemente determinati nella lotta ai miscredenti, virata in guerra di religione.

Una spirale di impazzimento da mettere paura, che ora trova la sua ennesima manifestazione a Genova con la defenestrazione di Marika Cassimatis. Cinquestelle della prim’ora, scelta dal voto online quale candidata sindaco alle imminenti amministrative locali. Dopo l’ostracismo dei guardiani della fede, che l’accusavano di tiepidezza nei confronti degli eretici alla Pizzarotti e varia apostasia, nelle vesti di Kalì è sceso dalle alture di Sant’Ilario Beppe Grillo in persona; per celebrare il sacrificio della reproba sotto forma di ritiro del sacro simbolo di appartenenza.

Confesso di essere senza fiato, un po’ perché tempo fa avevo bisticciato con la Cassimatis in un’occasione pubblica proprio per il suo (ai miei occhi) eccessivo allineamento al Verbo pentastellare. Anche se, successivamente, avevo accettato – come dice lei – di “fumare il calumet della pace; per via di comuni amicizie ambientaliste. Fermo restando che continuava ad apparire ai miei occhi critici un po’ troppo ortodossa. Però salvata da una certa attenzione rispettosa nei confronti delle posizioni altrui: quell’atteggiamento che fungeva da antidoto al settarismo e al culto di Kalì che ora l’ha condotta al rogo mediatico.

Soprattutto mi stupisce l’evidente autolesionismo, apparentemente inspiegabile, delle scelte di chi “puote ciò che si vuole”: la Cassimatis, proprio per la sua personale storia politica, era la migliore scelta per riassorbire in sede elettorale le recenti fuoriuscite dal Movimento che hanno dato vita a “Effetto Genova” ed “Effetto Liguria”. Mentre il rito sacrificale messo in atto produce l’effetto immediato di mettere fuori gioco il M5S nella consultazione del prossimo giugno. Con Palermo, la più significativa dell’anno. Seppure – a dire il vero – l’autogol trova la propria specularità in una ricca serie di corse al massacro sulla pelle della cittadinanza genovese: il Pd che si aggira alla ricerca di un candidato introvabile; Silvio Berlusconi che gioca una partita personale per screditare l’ex delfino Toti, nelle sue ambizioni di federatore a destra in prospettive anche nazionali, contrapponendo ai candidati del governatore un improbabile aspirante sindaco paracadutato da Milano.

Ma per Grillo-Kalì le motivazioni sono ancora più profonde. Tutto ruota attorno all’appuntamento del 2018, quando si ritiene certa la conquista del governo nazionale e l’elezione a premier di Luigi Di Maio. E nulla deve disturbare il disegno. Per cui si subisce ogni pasticcio romano di Virginia Raggi e si depura il movimento di ogni possibile bastian contrario. Come la Cassimatis.

Niccolò Machiavelli diceva che “il fine giustifica i mezzi”. Albert Camus replicava: “Chi giustificherà i fini?”.

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