“Non raccontiamo fiabe: forse bastava il cognome Verdini per attestare una cosa negativa”. Parola dell’avvocato Ester Molinaro, uno dei difensori di Denis Verdini a processo per il caso del Credito Fiorentino. Nel corso dell’arringa il legale ha respinto con forza le accuse dell’accusa di truffa allo Stato (tramite la Ste, la società che pubblicava il Giornale della Toscana), e quelle di bancarotta (legate al crac del Credito Cooperativo Fiorentino, la banca da lui presieduta fino al 2010).

Molinaro, al cui fianco oltre all’avvocato Franco Coppi che interverrà mercoledì c’era il senatore di Ala, ha contestato punto per punto le accuse dei pm Luca Turco e Giuseppina Mione che il 12 gennaio scorso avevano chiesto 11 anni per Verdini e, tra gli altri, 6 anni per il deputato Massimo Parisi, anche lui in aula. Sul tema del crac del Ccf (tra le accuse contestate a Verdini l’associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, truffa allo Stato per i fondi per l’editoria) l’avvocato ha contestato quanto fatto dai due commissari nominati da Banca Italia nel luglio 2010. “Prima del loro arrivo il patrimonio” del Ccf era nettamente superiore ai requisiti chiesti da Banca d’Italia, come attestato anche dalle precedenti ispezioni. “Uno di loro, Angelo Provasoli – ha detto l’avvocato – è quello che nel 2011 ha dato l’Oscar delle banche a Mps, poi abbiamo visto com’è finita”.

Sul Credito Cooperativo Fiorentino, ha proseguito l’avvocato Ester Molinaro, non ci fu alcuna “distrazione” di capitali, anche perché tutti i finanziamenti “venivano concessi solo con garanzie”, anche superiori a quelle chieste dagli altri istituti. E senza distrazioni “non può esserci bancarotta”, ha aggiunto l’avvocato, che si è soffermata pure sull’amicizia tra Verdini e l’imprenditore Riccardo Fusi (uno degli imputati), e su come dalle stesse intercettazioni “emerge che Verdini gli chiede di rientrare. Alla fine si dimostra che Verdini è un genio“, rispetto a tanti altri banchieri.

Per quanto riguarda le accuse legate al settore dell’editoria, e della Ste in particolare (“dove non esiste un gruppo di fatto perché una cosa era la Ste, un’altra Metropolis Day”), il difensore di Verdini ha ricordato che “il castello” dei pm è che il senatore fosse il “dominus di fatto” di Ste e delle cooperative editoriali (“per l’accusa tutte fittizie”). “Non è così – ha assicurato Molinaro – perché non esiste un dominus”. È vero però, ha concluso, che Verdini era innamorato dell’editoria, dei giornali: “In una telefonata mi fece una confessione – ha concluso il suo difensore -: ‘Vede a me non piacciono né gioco né donne, mi piace la puzza del giornale e la sera non mi addormento senza leggere la Nazion'”. Mercoledì interverrà l’altro difensore del senatore di Ala, l’avvocato Franco Coppi.

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