La minaccia del terrorismo di matrice islamica ha sempre la lasciato l’Italia “relativamente tranquilla”, ma questa condizione “potrebbe mutare”. È la riflessione del ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha parlato nel corso di un’audizione davanti alla Commissione Affari costituzionali della Camera. La serietà della minaccia, ha osservato il ministro, è stata recentemente rimarcata dal capo della polizia e “trova riscontro nei dati giudiziari”, per questo la risposta alla radicalizzazione deve essere “una priorità”. Secondo il Guardasigilli “da una lato alcune inchieste hanno rivelato la presenza sul nostro territorio di frammenti di gruppi organizzati attivi nel Nord Africa, Medio oriente e nel sub-continente indiano. Dall’altro è stata individuata una scena jihadista autoctona“. Le inchieste giudiziarie confermano anche la presenza di “lone actors pronti a usare la violenza, in scenari mediorientali o in territorio italiano”.

I dati diffusi da Orlando raccontano di 393 detenuti sottoposti a monitoraggio nelle carceri , di cui 175 “a forte rischio di radicalizzazione”. Inoltre, 46 sono sottoposti a regime detentivo di alta sicurezza perché accusati di terrorismo internazionale.”Il carcere è un osservatorio in qualche modo privilegiati per cogliere – ha detto Orlando –  elementi e acquisire notizie sulla radicalizzazione”.

Dei 393 detenuti tenuti sotto osservazione “per rischio di radicalizzazione violenta o proselitismo in carcere“, e che comunque presentano “un diverso grado di pericolosità”, “la maggioranza – ha detto Orlando – è nata in Tunisia (115), Marocco (105), Egitto (27). Ma ce ne sono anche 14 nati in Italia, di cui tre con cognome di origine straniera”. Per 130, ha continuato il ministro, “non sono emersi segnali concreti di radicalizzazione; restano però sospettati e sottoposti ad osservazione”. Mentre “88 soggetti, non ancora classificati come radicalizzati, hanno manifestato concreti e ripetuti atteggiamenti, anche in occasione di gravi attentati, che fanno presupporre vicinanza all’ideologia jihadista e quindi propensione alla attività di proselitismo e reclutamento“. “In carcere – ha continuato il ministro – è alto il rischio che si diffondano forme di esclusione e isolamento, condizioni su cui il radicalismo fa leva per alimentare senso di vendetta e odio contro la società”. Per questo si stanno stipulando “protocolli d’intesa con le associazioni religiose disponibili a favorire, nell’ambito del sostegno del diritto di culto, la circolazione di anticorpi in grado di debellare focolai di odio sociale e religioso”. Anche per quanto riguarda i minori c’è da tempo “una strategia complessiva diretta a contenere il rischio di radicalizzazione di detenuti minorenni e di giovani adulti, al momento molto contenuto (12 giovani risultano attenzionati) articolata lungo tre linee direttrici”.

Analizzando la popolazione carceraria complessiva, Orlando ha spiegato come su 55.381 detenuti, il 34% sono stranieri: 18.825. I detenuti che provengono da Paesi con popolazioni tradizionalmente di fede musulmana sono circa 14.680: oltre la metà da paesi africani, 3.359 dal Marocco e 2.141 dalla Tunisia. Di questi, 6.290 hanno dichiarato di essere professanti: circa il 33% della popolazione dei detenuti stranieri e l’11% del totale della popolazione carceraria. I professanti mussulmani sono circa 7.500 e gli imam 157. “L’amministrazione penitenziaria sta opportunamente approfondendo l’ipotesi di utilizzare in futuro anche le colonie agricole quali possibili luoghi di esecuzione della pena in un contesto di partecipazione al lavoro che appare idoneo alla prevenzione dei rischi di radicalizzazione”.

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