Antefatto: il disegnatore politico dell’Unità Sergio Staino, uno che in quanto tale dovrebbe avere come unico compito quello di prendere per i fondelli i potenti, in assoluta indipendenza e senza mai mettersi al caldo riparo della loro ala, decide un giorno, non tanto di lasciare finalmente, rendendosi conto che non si può essere davvero liberi in un giornale di partito che prende fondi pubblici, l’Unità (giornale agonizzante da anni, e sempre più ostaggio delle manovre del Pd), ma addirittura si fa nominare direttore dello stesso. Nell’incredibile convinzione di poter fare un giornale “piccolo, brutto e cattivo, ma pieno di grande intelligenza e di cose che non si trovano in altri giornali”.

Passano pochi mesi e la verità, già evidente all’insediamento di Staino, torna presto a galla. L’Unità vende due copie – e come sarebbe possibile altrimenti: se la fiducia dei partiti è a zero chi si compra un giornale di partito? – ergo le entrate mancano, il costo del lavoro è troppo alto e servono licenziamenti. Il Pd se ne sbatte, non intende mettere soldi, Renzi non è più neanche premier e se ne sbatte doppiamente. In questo sfondo di prevedibile cinismo, si staglia la patetica missiva che Staino avrebbe mandato a Renzi per poi renderla pubblica, forse per suscitare compassione e solidarietà (ma visti i commenti dei siti, avrebbe fatto meglio a lasciarla nel cassetto). Il disegnatore si dichiara profondamente deluso da Renzi. I motivi? Staino era convinto che il giornale sarebbe servito a Renzi per “ricucire quella base che nel territorio si sta disperdendo nell’astensionismo o, peggio ancora, nel grillismo” e “per rimettere in circolo l’ondata di rinnovamento del rottamatore”. Per questo era pronto a fare tanti sacrifici, a ridurre le spese, e anche il personale.

Parole simili provocano quasi un senso di pena, mista a rabbia, di fronte all’incredibile naiveté del padre di Bobo. Davvero Staino credeva che un foglio di partito da quattro copie potesse essere la sede della rivoluzione? Ma soprattutto che la rivoluzione si faccia chiedendo il permesso al padrone, qualunque nome esso abbia? Mentre disegnava vignette, capitava qualche volta a Staino di leggere il giornale, specchio incolore del direttore piazzato dalla dirigenza Pd? E poi: non era Renzi l’autore di quel Jobs Act che ora magari consente i licenziamenti tanti criticati? E cosa pretende Staino da Renzi, che metta ulteriori soldi pubblici, in un momento in cui è di certo impopolare salvare un giornale coi soldi dei cittadini, per ottenere solo una dilazione dell’agonia, perché nel frattempo – Staino se n’è accorto? – nel mondo dell’editoria stanno succedendo rivoluzioni radicali che si affrontano solo, e forse, con visioni radicali che non la politica nulla più hanno a che fare (nel mondo dell’Unità succedono cose invece assurde, come la causa fatta dal cartaceo al sito)?

Consiglio a Staino di andarsi a leggere i commenti diffusi tra rete e social. Non uno a sua difesa. Eppure tutti magnificamente intelligenti e ironici. Un vignettista come lui dovrebbe senz’altro guardarli, farsene una ragione, rassegnare le dimissioni. E trovare un altro giornale, possibilmente senza il cappio al collo del politico di turno.

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