C’è il Natale che incombe, quello del tormentone consumistico che deve illudere i consumatori impoveriti e quello “nero” di Berlino che ci coinvolge anche come connazionali di una delle vittime e teatro dell’epilogo. E’ scontato che in tutte le scalette e su tutte le prime pagine primeggi la nuova, e probabilmente non ultima, tragedia europea.

Meno scontato, per chi illusoriamente si ostina ancora a cercare nell’informazione il “cane da guardia della democrazia” che invece assomiglia sempre più al “peluche del potere”(definizione di Roberto D’Agostino), trovare solo dopo gli aggiornamenti ad oras sul “disastro Roma”, “l’agonia del M5S” per gli intrighi “dell’oca del Campidoglio” e l’albero di Natale “sfigato” la notizia della condanna a 6 anni di reclusione per corruzione ed altrettanti di interdizione dai pubblici uffici a Roberto Formigoni, dominus per un ventennio della Regione Lombardia.

Per i pm che hanno visto confermate le ipotesi accusatorie nei confronti di un potente, brillante navigatore di tutte “le Repubbliche”, che ambiva a sostituirsi a Berlusconi e che è planato dolcemente dal Pirellone allo scranno senatorio in quota Ncd, nonché alla presidenza della Commissione Agricoltura, Roberto Formigoni è protagonista di “una corruzione sistematica nella quale tutta la filiera di comando della regione è stata piegata a favore degli enti che facevano capo ai suoi amici” che poi gli garantivano vacanze stratosferiche, residenze di charme e campagne elettorali faraoniche.

L’amico imprenditore-faccendiere Pierangelo Daccò ha fatto il bis con altri 9 anni che si sommano alla precedente condanna per la bancarotta del San Raffaele ed il sodale di stretta osservanza ciellina Antonio Simone ex assessore regionale, tanto potente da mobilitare contro la procura tutti i crociati “garantisti” della Compagnia delle Opere, è stato condannato ad 8 anni ed 8 mesi.

La condanna prevede anche per l’ex presidente il risarcimento in solido con i coimputati alla regione Lombardia e la confisca di oltre 6 milioni di euro a fronte dei 61 milioni usciti dalle Casse della fondazione Maugeri più i 9 milioni dal San Raffaele, tutti confluiti sui conti dei presunti collettori delle tangenti. Daccò e Simone, infatti, provvedevano a raccogliere e poi a reinvestire in proprietà, lussi faraonici e lauti finanziamenti per le campagne elettorali del Celeste che da presidente della Giunta favoriva la Fondazione Maugeri ed il San Raffaele con rimborsi indebiti, a carico della collettività, di 200 milioni di euro.

A caldo la difesa di Formigoni si è mostrata rincuorata in quanto la condanna è stata “solo per corruzione” ed è caduta l’associazione delinquere ipotizzata dalla procura che aveva chiesto 9 anni anche per lui: in appello conta di dimostrare che si è trattato solo di “cortesie”. E di un eccesso di gentilezza sembra che si tratti a giudicare dall’evidenza data ad uno degli episodi più gravi di corruzione anche per un paese come il nostro da molte testate, tra cui spicca l’Unità che ha messo un mini-box con la condanna di Formigoni sotto un titolone su “La decrescita infelice di Roma senza concerto” a la notizia in alto in merito alla “gogna per Poletti junior”.

L’interessato con il noto spirito cristiano ha annunciato che porterà la croce per 18 mesi prima dell’assoluzione in appello e in un’intervista alla Stampa riguardo alle dimissioni da presidente di commissione chieste dal M5S e condivise anche da buona parte della minoranza dem ha risposto che “il M5S deve coprire le magagne della Raggi”.

Quanto al Pd che, come ha ricordato Di Battista, ha confermato Formigoni alla guida della commissione nonostante il processo in corso è molto difficile che vada oltre “un certo imbarazzo”. Sembra lontano anni luce il 2013, quando il capogruppo Zanda a seguito della richiesta del rinvio a giudizio aveva invitato il Celeste a rinunciare alla presidenza “a tutela di se stesso e delle istituzioni”.

Ora Luigi Zanda si mantiene prudentemente silenzioso sulla condanna in primo grado per corruzione di un uomo delle istituzioni; lui ed il suo partito sono troppo concentrati a mettere all’indice la potenziale destinataria di un avviso di garanzia per concorso di abuso in ufficio che osa persino sottrarsi, in una situazione economicamente disastrosa, alla consolidata pratica del panem et circenses.

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