di Eugenio D’Auria *

Dopo la vittoria di Trump gli organi di informazione statunitensi ed europei si sono interrogati sul significato di un voto popolare indirizzato verso un rappresentante di quella che viene, meglio veniva, comunemente definita antipolitica. E’ da auspicare che la grande sorpresa del risultato elettorale negli Stati Uniti favorisca ora riflessioni più approfondite, evitando generalizzazioni e classificazioni banali (quale, ad esempio, l’assimilazione semplicistica dei sostenitori di Sanders con quelli di Trump sotto la generica definizione di populismo di sinistra contrapposto a quello di destra).

In molti Paesi le classi dirigenti si trovano ad affrontare analoghi problemi, apparentemente differenziati ma con un comune punto di riferimento: l’insofferenza nei confronti dei governanti di turno, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza (destra o sinistra).

La diffusione dei nuovi strumenti di informazione, molto più ampia rispetto a quella della stampa e della radiotelevisione, ha favorito la crescita di un’opinione pubblica estremamente sensibile ai fenomeni di corruzione e cattiva gestione riportati con rapidità e grande risalto nei nuovi agorà mediatici; i dirigenti politici sono invece divenuti sempre più sensibili a sondaggi sulla loro popolarità effettuati con crescente frequenza. La saldatura fra tali elementi ha portato ad un’obsolescenza accelerata dei governi e, più in generale, dei partiti politici tradizionali, compresi quelli di opposizione, in quanto ritenuti tutti elementi integranti di un sistema autoreferenziale. Di qui l’emergere di movimenti alternativi, spesso capaci di raccogliere consensi in categorie sociali anche in conflitto fra di loro. La caduta delle ideologie, la globalizzazione e la crisi sistemica iniziata nel 2008 hanno non poco contribuito ad alimentare tale processo, manifestatosi anche con la caduta verticale nelle percentuali di partecipazione alle consultazioni elettorali.

Non sembra quindi appropriato, ed utile, attribuire a questo nuovo tipo di opposizione l’etichetta di fenomeno populista. Le proteste e la disaffezione esprimono infatti problematiche concrete, da affrontare con consapevolezza della posta in gioco, sensibilità verso le categorie in stato di disagio e capacità di introdurre metodi innovativi nella gestione della cosa pubblica. Diversamente da quanto fatto per la prima ondata di dissenso, superficialmente tacciata di antipolitica, occorre invece captare i segnali provenienti dalla società ed operare per recuperare alla politica – con la P maiuscola – le idee e le energie migliori. Né vanno sottovalutate alcune delle novità introdotte proprio dai gruppi venuti alla ribalta: l’uso delle nuove tecnologie sembra infatti uno dei problemi da affrontare per ovviare alla disaffezione ed al disinteresse da tutti denunciati. E’ possibile che i tentativi realizzati sino ad ora siano ancora imperfetti ma di certo non meritano di essere tacciati di velleitarismo e/o superficialità. Al contrario, occorrerà fare tesoro di queste prime esperienze per individuare ed affinare strumenti capaci di rendere sempre più ampio il dibattito intorno alla gestione dei beni comuni: adottando processi decisionali trasparenti, tecniche di comunicazione ed informazione adeguate, selezione del personale politico dal basso verso l’alto.

Il tradizionale confronto destra/sinistra ha lasciato il passo alla competizione fra schieramenti molto variegati nella loro composizione: uno progressista, più sensibile alle tematiche di equità ed aperto a nuove istanze in campo sociale, etico, e ambientale; un altro più attento invece ad evitare il rischio di innovazioni ritenute radicali o intempestive ed a privilegiare la conservazione di un consenso sociale stratificatosi nel tempo e difficile da superare se non a prezzo di sovvertimenti violenti. La mobilità fra i due gruppi potrà essere molto elevata, in funzione delle diverse tematiche sul tappeto, di politica interna come di politica estera. Di qui l’esigenza di organizzazioni politiche capaci di raccogliere in tempo reale le diverse istanze, discuterle rapidamente ed in profondità per formulare quindi proposte operative da trasformare in norme condivisibili dalla maggioranza dell’opinione pubblica.

La prova che attende quanti vogliano cimentarsi in una tale impresa è titanica ed al tempo stesso affascinante, adatta a gruppi sensibili all’importanza della fase storica che stiamo attraversando: far sì che le nuove tecnologie, i nuovi equilibri derivanti dalla globalizzazione, le sfide poste dalle emergenze ambientali e climatiche, l’attenuazione delle diseguaglianze fra individui e fra Paesi, siano inseriti in un nuovo modello di governabilità nelle singole nazioni, nei gruppi regionali ed a livello planetario.

Nel 500.mo anniversario della pubblicazione dell’Utopia di Thomas More, appare suggestivo immaginare che nuovi leader emergano per indicare la strada verso più avanzati modelli di convivenza.

Un rimedio a quella che non pochi interpretano come la fine degli equilibri attuali potrebbe così essere rappresentato dall’individuazione di obiettivi capaci di far convergere l’attenzione di gran parte della società su tematiche di grande impatto: nel caso italiano potremmo ad esempio immaginare, indipendentemente dal risultato del 4 dicembre, di discutere in maniera non superficiale delle parti della nostra Costituzione ancora in attesa di applicazione e di quelle da cambiare; in ambito europeo trovare la creatività per affiancare ai Comitati istituzionali già all’opera per riscrivere le regole comunitarie, gruppi di studio composti da giovani della generazione Erasmus; a livello planetario mobilitare le energie necessarie per giungere finalmente a quella riforma dell’Onu che porti tale organismo ad operare efficacemente quale embrione di governo mondiale così come immaginato al momento della sua creazione.

Utopie? Certamente, ma anche strade da provare a percorrere per superare le pericolose incertezze ed insicurezze attuali, che favoriscono contrapposizioni sempre più radicali, frammentazioni più ampie e diseguaglianze ancor più profonde.

* già Ambasciatore in Arabia Saudita e Austria

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