“Quello che faremo è buttare fuori dal Paese o incarcerare le persone che sono criminali o hanno precedenti criminali, membri di gang, trafficanti di droga”. Lo dice Donald Trump alla Cbs, tornando su uno punti chiave del suo programma: l’immigrazione. Gli stranieri da espellere o incarcerare sono 2-3 milioni, dice. Barack Obama tra il 2009 e il 2015 ne ha rimpatriati 2,5 milioni, un record nella storia americana. Ma il progetto di Trump va oltre. Per fermare nuovi ingressi, vuole completare il muro tra Stati Uniti e Messico. Già nel 2006 era stato promulgato il Secure Fence Act, un dispositivo che approvava la realizzazione di una barriera in alcuni punti caldi del confine: votò a favore anche Hillary Clinton. Trump vuole completare l’opera. I problemi, però, sono diversi: i costi esorbitanti e un effetto deterrente non assicurato al 100%. In più, chi ha mostrato il maggior interesse per l’appalto finora sono state aziende straniere. E se la recinzione sarà un vero e proprio muro in cemento, la più titolata ad aggiudicarsi la gara per il materiale è, ironia della sorte, la multinazionale messicana Cemex Sab.

Immigrato uguale criminale? – La quota di immigrati irregolari responsabile di reati è ben distante dai milioni indicati di Trump. Parola del Department of Homalend Security, il dipartimento della sicurezza nazionale. Lo cita, nel 2009, il Center for immigration studies: i “clandestini” nelle patrie galere americane sono 221mila persone. Nel 2012 il Congresso ha pubblicato un rapporto in cui sosteneva che nel 2010 ci fossero 178mila stranieri irregolari sul suolo americano con precedenti penali alle spalle. Nemmeno svuotando di colpo le 1.719 prigioni statali, le 102 carceri federali, i 942 istituti detentivi per minori e i 3.283 penitenziari di contea Trump raggiungerebbe 3 milioni di persone da “buttare fuori”. In tutto, nel 2016, la popolazione carceraria è di 2,3 milioni (di cui uno su cinque è straniero), spiega la ong Prison Policy Institute. Al 31 dicembre 2014, ultimo dato disponibile, il Bureau of Justice Statistics rilevava 1,5 milioni di persone. Quanto agli irregolari complessivi, dal 2009 sono stabilmente 11,1 milioni, secondo uno studio del Pew Research Center pubblicato lo scorso 9 novembre. Oltre la metà sono ispanici, soprattutto messicani. Si tratta del 3,5% della popolazione, come storicamente è sempre successo negli States, dopo una punta del 4% toccata nel 2007 (George W. Bush presidente). Nel programma di Trump, la “grande cacciata” si basa sul nesso immigrazione-criminalità. Gli stranieri alzano il tasso di criminalità nel Paese? No, secondo l’Immigration Policy Center. Dal 1990 al 2013 il numero di stranieri residenti negli States è passato da 3,5 milioni a 11 milioni. Eppure, nello stesso periodo, l’Fbi ha rilevato un decremento del tasso di crimini violenti del 48%. Secondo uno studio del 2010 della American Community Survey (ACS), l’1,6% degli immigrati maschi tra i 18 e i 39 anni commette un crimine, contro il 3,3% degli americani per cittadinanza.

I costi del muro – Per fermare “l’invasione”, Donald Trump punta su un muro che divida Stati Uniti e Messico. Il confine terrestre è di 3.145 chilometri e finora la parte costruita è lunga all’incirca mille chilometri. Completare l’opera (anche se Trump ha detto che potrebbe accettare il compromesso di mettere la rete in alcuni tratti) costerebbe almeno 10 miliardi di dollari, a cui si aggiungono i costi di manutenzione (tra i 16 e i 70 milioni) e i 40mila dipendenti per la sua gestione. L’uso dei droni per la sorveglianza, nella solo Arizona, aggiunge al conto 750 milioni di dollari. Un’esagerazione: nel 2009, il Government Accountability Office stimava tra i 2,8 e i 3,9 milioni di dollari per miglio. Ingestibile persino per i repubblicani, che dall’elezione di Trump lavorano a soluzioni alternative. Non sono gli unici: il gruppo di architetti e urbanisti The Third Mind Foundation ha inaugurato un premio per chi si riesce ad immaginare una frontiera diversa dal muro attuale, considerato troppo caro. Raccoglie le proposte nel sito “Building the border wall?”.

Chi ci guadagna sono gli “stranieri” – In questa querelle sul muro c’è qualcuno che ci guadagna. E non poco. Due aziende israeliane, ad esempio, da sempre specializzate nella realizzazione di muri. La Megal Security System Ltd ha realizzato la colata di cemento e filo spinato che divide Israele dalla Striscia di Gaza. Ha sempre mostrato il suo interesse per il progetto di Donald Trump ed è bastata la sua elezione a farle fare un salto in Borsa del 6%, il 9 novembre. L’altra azienda israeliana è la Elbit System, specializzata in componenti tecnologiche per i sistemi di difesa. Ha già ottenuto tra il 2010 e il 2014 circa 5,86 milioni in appalti, di cui circa un milione (finora) inerenti alla costruzione del muro. Per questo ha investito circa 80mila euro in finanziamenti diretti e altri 250 in lobbying, soprattutto verso i Repubblicani. Trump escluso, visto che stando al sito OpenSecrets.org il presidente ha preso solo 70 dollari, contro i 15.500 versati per la campagna della deputata texana – Stato di confine – Kay Granger. Una fetta della torta spetta anche ai messicani. Bloomberg cita, a luglio, un rapporto dello studio di analisi finanziaria Sanford C. Bernstein & Co., che stima in oltre 7 milioni di metri cubi il cemento necessario per realizzare l’opera. Al prezzo corrente, un appalto da almeno 700 milioni di dollari. E i più titolati per accaparrarselo sarebbero i messicani della Cemex Sab. Di americano, per la costruzione del muro, chi resta? Le ultime tracce risalgono al 2005, quando la Boeing corporation si prese un miliardo di dollari per la costruzione del “muro virtuale”, la barriera elettronica. Nel 2011 l’appalto venne ritirato: “Sarebbe stato un fallimento”, fu la motivazione addotta dal governo.

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