Il fallimento dei servizi segreti, che sono troppi e complessi; i provvedimenti presi in ritardo e non ancora sufficienti; la mancanza di coordinamento con le intelligence fuori dalla Francia. “Che cosa non ha funzionato il 13 novembre scorso? Tutto”. Secondo Georges Fenech, deputato membro dei Repubblicani, magistrato e presidente della commissione di inchiesta sugli attentati, c’è una sola analisi possibile ed è impietosa: “Gli attacchi terroristici della notte del Bataclan avrebbero potuto essere evitati”, spiega a ilfattoquotidiano.it. “Sono il fallimento dei nostri servizi e si potevano prevenire. E’ una cosa difficile da dire davanti alle famiglie delle vittime, ma io penso che sia giusto farlo. Se le informazioni fossero state condivise, avremmo evitato la strage. Abbiamo perso tempo: quelle stesse misure avrebbero potuto essere prese già dopo gli attacchi di Charlie Hebdo del gennaio 2015 “. La commissione da lui presieduta a inizio luglio ha consegnato un report di oltre 300 pagine che illustra il lavoro svolto in sei mesi e fa 39 proposte per affrontare l’emergenza: dalla riorganizzazione dei servizi segreti, sul cui punto tutti si dicono concordi, fino alla gestione della sicurezza sul territorio. Il testo si è basato essenzialmente sulle audizioni dei ministri e sui funzionari coinvolti: “Vigileremo che le nostre idee vengano ascoltate e messe in pratica”, continua il presidente. L’obiettivo fondamentale è quello di creare un centro di coordinamento della lotta anti terrorismo sul modello del sistema Usa. E il tempo, secondo Fenech e la commissione, stringe. Nell’introduzione al dossier si legge infatti: “La minaccia terroristica in Francia rimane molto elevata” e “malgrado le misure prese dal ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve, e in particolare quelle relative all’organizzazione dei servizi e al nuovo utilizzo delle forze d’intervento, non sono ancora all’altezza della sfida di un terrorismo internazionale pronto a nuove forme di lotta finora insospettabili”.

“Rivedere la catena di comando” – Alla base di tutto ci sono le falle del sistema dei servizi segreti, da anni caratterizzati da guerre di potere e scarsa comunicazione. “Ci siamo resi conto che gli autori degli attentati di Charlie Hebdo e del Bataclan erano già conosciuti”, continua Fenech. “Sapevamo che tra i terroristi delle stragi c’era chi era radicalizzato e chi era stato in Siria: erano tutti nei nostri radar. Alcuni addirittura erano stati condannati. Bisogna riconoscere che c’è un problema”. Una delle proposte della commissione prevede la creazione di una “agenzia nazionale di lotta contro il terrorismo con un coordinamento centrale”: “Abbiamo una quindicina di servizi segreti in Francia e Parigi è uno stato dentro lo stato. Non possiamo continuare così”. Per questo i parlamentari sono andati a Washington per vedere come gli americani hanno reagito agli attentati dell’11 settembre 2001: “Gli Usa hanno creato il National Counterterrorism Center: hanno un direttore nazionale che è un vero coordinatore. Da noi si trova all’Eliseo e deve fare i conti con varie agenzie. E’ necessario partire da questa figura, dargli più fondi e responsabilità”. A questo proposito viene citata la testimonianza del direttore dei servizi esterni (Dgse) Bernard Bajolet che ha detto: “Gli attentati del 13 novembre dimostrano il fallimento del mio dipartimento: sono stati pianificati fuori dalle nostre frontiere e organizzati in Belgio, ovvero aree di nostra competenza. E sono anche un fallimento senza dubbio per i servizi interni, perché si sono manifestati sul territorio francese”. Morale, non si salva nessuno. Il problema non solo è nelle lotte interne e nelle scarsa condivisione, ma anche nella gestione delle informazioni: “Abbiamo avuto difficoltà”, dice Fenech, “pure nell’ottenere i nomi delle persone seguite dai diversi organi destinati alla lotta contro il terrorismo”. L’esempio per il deputato viene dal fatto che i tre assalitori del Bataclan erano “perfettamente conosciuti dall’intelligence e dalla giustizia”: “Samy Amimour era sotto controllo giudiziario, ma questo non gli ha impedito di andare in Siria con l’altro terrorista Omar Mostefai, anche lui identificato ‘fiche s’. Mentre Foued Mohamed-Aggad era noto alla giustizia francese per essersi unito allo Stato islamico nel 2013″.

“Manca la condivisione delle informazioni con l’Unione europea” – Il problema di gestione non si ferma a livello francese, ma riguarda anche l’Europa: “Nella prevenzione”, sostiene Fenech, “è mancata la condivisione delle informazioni a livello di Unione europea. Abbiamo visitato Europol a Bruxelles: è un’agenzia che non ha abbastanza dati e che manca di efficacia”. L’esempio che viene citato è quello di Abdelhamid Abaaoud, considerata la mente degli attentati e morto nell’assalto di Saint-Denis: “Siamo partiti dai casi concreti”, continua Fenech, “volevamo sapere come fosse stato possibile che Abaaoud avesse potuto circolare con tanta facilità dal momento che era segnalato con ‘fiche S’. Era stato localizzato ad Atene e i belgi avevano capito che era un belga-marocchino. Quando hanno fatto l’intervento in Belgio, hanno avvisato i greci solo mezzora prima dell’operazione e Abaaoud è fuggito. Se ci fosse stata una struttura centrale avremmo potuto agire diversamente”. A parlare per Fenech sono le date: il terrorista fugge a giugno 2015, gli attacchi di Parigi avvengono a novembre. A questo proposito serve, come spiega il deputato, uno sforzo europeo che certo dipende esclusivamente da scelte politiche: “Dopo il 13 novembre abbiamo avuto uno choc ed è stata espressa la volontà di cooperare. Abbiamo creato un centro di condivisione delle informazioni. Ma per cambiare davvero serve l’intervento politico. Bisogna che gli Stati, i ministri degli Interni, obblighino l’Europa a uno scambio rapido di informazioni”. Fenech a questo proposito nel report cita due “anomalie”: l’impossibilità per l’agenzia europea Frontex  di accedere agli archivi che permettono di “tracciare i movimenti sospetti” e il fatto che il primo agente Europol sia arrivato in Grecia “in appoggio” a Frontex solo nel dicembre 2015.

L’introduzione della detenzione amministrativa limitata per i “djihadisti di ritorno” e lo Stato di emergenza “inutile” – Il presidente della commissione va oltre nelle sue proposte. Se da una parte ritiene che un maggior coordinamento delle agenzie e la condivisione delle informazioni avrebbe potuto evitare gli attentati, dall’altra propone misure rigide come strumento di prevenzione: “Lo Stato di diritto deve adattarsi al livello della minaccia”, conclude. “Per questo io sono a favore della detenzione amministrativa”. Il provvedimento prevede la reclusione di un sospetto per motivi di sicurezza dello Stato, anche in assenza di prove di reato. L’esempio è quello dei presunti djihadisti che tornano dalle zone siriane: “Sono figure che non possono essere messe sotto accusa e il governo per far fronte al fenomeno si è accontentato di creare dei centri di deradicalizzazione”. Secondo il deputato non basta e, a chi lo accusa di voler ricreare una Guantanamo alla francese, replica: “E’ falso, perché ci sarebbe l’intervento del giudice che garantisce la tutela dei diritti umani. Caricaturizzano le mie posizioni per screditarle. Mi accusano di fare polemica quando servirebbe l’unità nazionale”. Se Fenech da una parte invoca il pugno duro, dall’altro condanna lo Stato d’emergenza che è stato inserito in Costituzione dal presidente Hollande: “E’ stato utile subito dopo gli attentati per consentire più perquisizioni, ma passati i primi giorni non serve più a niente. L’unica utilità è quella di rassicurare il popolo, ma dobbiamo renderci conto che non è sufficiente”. Davanti al fallimento la commissione di inchiesta chiede una rivoluzione del sistema, nella speranza di essere ancora in tempo.

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