Non solo un cambio di scenografia. La scelta di Matteo Renzi di non esporre la bandiera europea all’interno del suo ufficio di Palazzo Chigi sembra costituire una violazione di legge. A molti il dettaglio è saltato subito all’occhio. Nell’ultimo #matteorisponde, l’ormai abituale appuntamento del presidente del Consiglio coi suoi seguaci su Facebook, in diretta dal suo ufficio a Piazza Colonna, alle spalle del premier comparivano ben 6 tricolori, ma nessun vessillo dell’Ue. Scelta politica, hanno spiegato alcuni commentatori: in vista del referendum del 4 dicembre, e dopo le tensioni con la Commissione di Bruxelles, Renzi intenderebbe così prendere le distanze dalle istituzioni comunitarie, che in questo periodo non godono certo di grande consenso popolare.

Nessuno ha notato, però, che questa scelta di comunicazione confligge con la legislazione vigente. In particolare con gli articoli 6 e 7 del Decreto del presidente della Repubblica del 7 aprile del 2000, che disciplinano l’“esposizione della bandiere all’interno degli uffici pubblici”. Nel testo del decreto si trova scritto che “la bandiera della Repubblica e la bandiera dell’Unione europea sono esposte negli uffici […] dei membri del Consiglio dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato”. Non importa, dunque, il tipo di evento: anche se si tratta del #matteorisponde, cioè di un appuntamento per certi versi non ufficiale, il premier era comunque obbligato a mostrare entrambi i vessilli, trovandosi all’interno del suo ufficio. Il decreto, peraltro, stabilisce con precisione il modo in cui posizionare le bandiere. All’articolo 7 si legge: “le bandiere nazionale ed europea, di uguali dimensioni e materiale, sono esposte su aste poste a terra alle spalle ed in prossimità della scrivania del titolare dell’ufficio”. Insomma, alle spalle di Renzi non poteva non comparire il drappo azzurro con le 12 stelle gialle.

Prescrizioni, queste, che pongono seri dubbi sulla legittimità della scenografia adottata dal governo non solo durante il #matteorisponde, ma anche nel corso della conferenza stampa del 15 ottobre scorso, quella durante la quale il premier e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan hanno illustrato le misure previste nella legge di bilancio. In quel caso, alle spalle dei due membri dell’esecutivo comparivano ben 8 tricolori, mentre le 4 bandiere europee erano relegate, due per parte, ai margini della serie di vessilli. I video relativi alle precedenti conferenze, svolte nello stesso studio di Palazzo Chigi, mostrano invece, alle spalle di Renzi, un tricolore e una bandiera europea. Proprio come indica le legge.

In che modo giustificare, dunque, questa apparente violazione della norma? “Del tutto destituita di fondamento la notizia secondo cui il consulente americano Jim Messina starebbe dietro alla decisione della disposizione dei tricolori alle spalle del Presidente del Consiglio Matteo Renzi ieri durante il #matteorisponde”, precisava una nota di Palazzo Chigi pubblicata nella serata di giovedì 10 novembre, smentendo le ricostruzioni di chi riconduceva il cambio di scenografia ad un consiglio del guru della comunicazione statunitense. Del Dpr del 7 aprile del 2000, però, nessuna menzione. Contattato da ilfattoquotidiano.it, l’ufficio del Cerimoniale di Stato, responsabile della cura degli impegni del presidente del Consiglio, dichiara di non poter rilasciare dichiarazioni ai media. Dall’ufficio stampa di Palazzo Chigi, invece, ammettono che sì, “ovviamente eravamo a conoscenza del testo” del decreto in questione. E dunque era noto anche il rischio di violare le legge? “Sulla scelta di esporre solo il tricolore bisogna chiedere al dottor Filippo Sensi”, precisano. Ilfattoquotidiano.it ha subito cercato di contattare il responsabile della comunicazione di Palazzo Chigi e il suo staff per avere un chiarimento. Non ricevendo, però, alcuna risposta.

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