Elezioni USA 2016

Trump, Letta: “Errore ignorare la rabbia, oggi la gente vota contro l’establishment a prescindere. Monito anche per l’Italia”

L'ex presidente del Consiglio, che oggi dirige l'Institut d'études politiques de Paris-Sciences Po: "Il miliardario incarna il dissenso, bisogna trarne una lezione". Sul versante economico bisognerà fare i conti con un effetto "imprevedibilità" e "sono sempre gli anelli più deboli a pagare di più: la crescita dei tassi di interesse impatterà sul costo del nostro debito. Quando si genera instabilità, l’Italia deve staccare un assegno più alto degli altri"

Enrico Letta, ex ministro e presidente del Consiglio, il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, ha dichiarato che con Donald Trump presidente degli Stati Uniti “la relazione transatlantica diventerà più difficile”. Cosa vuol dire? Sono fondate le preoccupazioni di alcune cancellerie europee?

“Secondo me la preoccupazione è pienamente giustificata. Dobbiamo distinguere due aspetti. Primo: bisogna prendere questo voto come una lezione per ridiscutere il rapporto tra la gente comune e l’establishment e analizzare la rabbia che la gente ha espresso nei confronti della politica. È una lezione che deve essere presa in positivo, non si può continuare a ignorarla e limitarci a isolare il dissenso perché questo, poi, genera mostri. La verità è che c’è una rabbia nei confronti dell’establishment e la gente vota contro l’establishment a prescindere. E la Clinton è l’incarnazione perfetta dell’establishment.

La seconda questione è quella riguardante le politiche di merito. Questo mi preoccupa molto. Da una parte mi sembra che vi sia una forte tendenza isolazionista, esattamente l’opposto di quello che è stato il passato interventista degli Stati Uniti. Questo avrà delle ripercussioni anche sulle spese militari dell’Europa che dovrà confrontarsi con un’esigenza di sicurezza che fino a oggi era garantita totalmente dall’alleato americano. Dall’altra parte c’è un’imprevedibilità che può risultare rischiosa per la sicurezza in alcune aree del mondo”.

Ma Trump rappresenta un interlocutore affidabile per Bruxelles e gli Stati europei?

“Va messo alla prova, ma al momento tutti i segnali mi fanno dire che assolutamente non lo è. Sarà un interlocutore molto complicato e imprevedibile. Dovremo capire chi saranno i Segretari e i collaboratori del governo per avere un’idea più chiara. E non facciamo i buonisti, non iniziamo con i paragoni assurdi con Ronald Reagan. Era un’altra cosa: si circondò di personaggi di una levatura unica come James Baker. Non possiamo dire che Trump non è poi così male solo perché ha vinto. Abbiamo davanti uno che ha in mano la famosa valigetta nucleare col pulsante e il Presidente, negli Stati Uniti, ha un potere praticamente assoluto. Ci sono motivi di preoccupazione molto evidenti, anche se credo e spero che l’America abbia un sistema interno capace di evitare il peggio”.

Il paradigma sul quale si è basato lo scenario geopolitico internazionale dopo il 1945 prevede la presenza degli Stati Uniti nei teatri più importanti. Questo rischia di cambiare con un Trump isolazionista?

“Certo è che con le tensioni che ci sono nel mondo non abbiamo bisogno di un’America che gioca alla meno, a evitare di far danni. Ci vorrebbe un’America positiva, un’America che aiuta, che interviene con saggezza, che trova il modo di far fare pace ai vari interlocutori. Trump è uno che invece può dire qualsiasi cosa nei momenti più strampalati e questo preoccupa molto. Inoltre, il fatto che lui metta l’attenzione esclusivamente su aspetti di politica domestica farà sì che questi prenderanno il sopravvento su qualsiasi altro argomento di carattere generale e questo non è positivo. Io sono uno di quelli che reputa l’eredità di Obama molto positiva. Si è trovato un’eredità da far tremare i polsi, con i grandi errori come l’Iraq, ed è riuscito a tornare indietro con fatica e difficoltà, mantenendo un ruolo degli Stati Uniti fondamentale. Penso a Cuba, all’Iran, a varie zone dell’Asia, nel Pacifico, è stato un alleato importante dell’Europa. Lo rimpiangeremo”.

Questo risultato ha fatto esultare i partiti populisti europei, con Salvini entusiasta del voto americano. Crede che si tratti della scintilla che causerà la definitiva ascesa di questi movimenti anche in Europa?

“Si tratta di vedere, non è scontato. L’unico risultato che abbiamo come esempio è quello del voto spagnolo avvenuto tre giorni dopo la Brexit. Nelle ultime ore, secondo tutti i sondaggisti, il voto spagnolo ha registrato un soprassalto in favore dei due partiti tradizionali che hanno sopravanzato i due non tradizionali, probabilmente come reazione di paura in risposta al salto nel buio della Brexit. Quindi aspetterei a parlare di accelerata dei populismi. Poi non scordiamoci che negli Stati Uniti è sempre un gioco a due e Trump si è trovato nella situazione ideale: raramente un presidente uscente ha visto succedere uno del suo stesso campo e, inoltre, la Clinton rappresentava ciò che di più vicino c’è all’establishment che la gente oggi combatte. Trump, invece, è un outsider vero, non come Salvini o Le Pen che sono in Parlamento da venti anni”.

Cosa cambia, invece, per l’Italia?

“Non so se in politica interna, ma questo risultato avrà degli effetti sui nostri affari internazionali. Dovremo farci un esame di maturità, ci ritroveremo spesso a dover fare le cose da soli o con gli alleati europei più che con gli americani. Non c’è da dormire sogni tranquilli sulla Libia o altri scenari simili. Inoltre, questo effetto instabilità fa sì che siano sempre gli anelli più deboli a pagare di più: non i tedeschi, ma noi, soprattutto riguardo alla crescita dei tassi di interesse che impatterà sul costo del nostro debito. Quando si genera instabilità, l’Italia deve staccare un assegno più alto degli altri. Occhio che c’è un tifone in giro, rafforziamo i tetti”.

Ci saranno dei cambiamenti nei rapporti commerciali tra Stati Uniti e Paesi europei? Il Ttip sarà rispolverato in qualche modo?

“Non scommetterei un euro sul Ttip dopo quello che è successo. Lui è stato chiarissimo: la sua politica è isolazionista, anche nei confronti dei mercati europei. Non ho dubbi: questa è la sua bandiera da vendere agli elettori. Questa è una conseguenza abbastanza sicura dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti”.

A proposito di stabilità. Trump non ha mai nascosto la sua ammirazione per le politiche di Putin. Questo rischia di spostare l’asse mondiale verso est? E l’Europa, debole a causa della Brexit e divisa al suo interno sulla questione migranti e le sanzioni alla Russia, dovrà avere la forza e la maturità di fare da stabilizzatore?

“Nell’ultima settimana sono stato in Cina e sono rimasto sorpreso da come tutti i cinesi tifassero apertamente per Trump. La stessa cosa in Russia, quindi è evidente che ci sia un cambio di paradigma perché questi due Paesi sono sempre stati considerati due potenziali minacce. Però non ne sarei troppo sicuro perché Trump fa molti discorsi ma si dovrà confrontare con i problemi reali. Detto questo, credo che l’Europa debba pensare ai suoi interessi e fare un ragionamento su se stessa. Questa è una grande sveglia per l’Europa, sia sul tema delle democrazie che sul tema delle politiche”.

È strano pensare a una Cina che esulta per la svolta isolazionista statunitense, la chiusura delle frontiere commerciali e un parziale stop agli investimenti esteri…

“La Clinton per loro era la soluzione peggiore. Voleva dire interventismo, mentre Trump è isolazionismo. Non vogliono qualcuno che vada a rompere le scatole sulle loro vicende asiatiche, come le isole del Mar Cinese Meridionale”.

Questa stima che Trump nutre per Putin potrebbe facilitare una risoluzione favorevole alla Russia della questione siriana, ucraina e dei Paesi Baltici?

“Su questo è necessario aspettare e vedere quali siano effettivamente le politiche di Trump. Le sue parole mi sembrano più battute elettorali che ragionamenti da Presidente. L’idea che gli Stati Uniti cambino radicalmente e considerino Russia e Cina come migliori alleati la devo vedere. Gli establishment repubblicano e democratico non appoggerebbero questa svolta e nemmeno il cittadino medio americano. Il rapporto tra Putin e Trump non ha influito sulle intenzioni di voto. È innegabile che, comunque, ci sia un interesse europeo, italiano in particolare, a rasserenare i rapporti con la Russia”.

La sconfitta della Clinton rappresenta a suo parere anche un verdetto negativo degli americani sull’eredità lasciata da Obama?

“No, penso proprio di no. Perché è sempre stato evidente che Obama e Clinton sono due cose diverse. Arrivo a pensare che Obama avrebbe vinto. La Clinton c’era prima di Obama e ha tentato di esserci dopo Obama e questo nella politica di oggi non funziona, non paga”.

 

Twitter: @GianniRosini