Chissà quante volte l’avrete pensato guardando Serena Williams “asfaltare” le avversarie con il suo tennis muscolare e mascolino. “Questa qui batterebbe anche gli uomini!”, o no? Se giocasse col sottoscritto non ci sarebbero dubbi, così come non ve ne sarebbero se di fronte a lei ci fosse un giocatore da top ten maschile. Perderebbe, nonostante i 22 Slam conquistati e una potenza al servizio che è arrivato a superare i 200 km/h. Serena sta per compiere 35 anni e, Wimbledon a parte, la sua superiorità scricchiola ma non è di lei che voglio parlare. Ho scelto lei come esempio per introdurre un tema che nel tennis torna sempre. “La battaglia dei sessi” che esattamente 43 anni fa mise di fronte Bobby Riggs e Billie Jean King. Riggs era un campione degli anni 30 e 40 che, alla veneranda età di 55 anni, volle sfidare l’universo femminile della racchetta annunciando che sarebbe stato in grado di battere anche la migliore di loro.

Il prologo della storica sfida del 20 settembre 1973 si consumò il 13 maggio con Riggs che batté nettamente la numero 1 del momento, Margareth Court. La sfida giocata in California si chiuse sul 6-2/6-1 con la Court messa alle corde dai lob e dai drop shot dell’esperto Riggs. Uomo 1, donna 0. “Never bet against this man” recitava la copertina di Sports Illustrated che si guadagnò Riggs dopo questa dimostrazione. Nessuno avrebbe scommesso invece che Billie Jean King raccogliesse questa sfida. Invece, qualche mese dopo, grazie a una bella offerta economica, era sul campo con Riggs di fronte. La King prese molto sul serio l’incontro e, adottando delle tattiche utili a fiaccare il 55enne Riggs, ebbe la meglio in tre set, 6-4/6-3/6-3. Uomo 1, donna 1. L’evento ebbe grande risonanza e seguito, con oltre 90 milioni di persone davanti alla tv ma la “battaglia dei sessi” si inabissò per quasi 20 anni (Riggs ci provò ancora, a 67 anni, in doppio con Gerulaitis nel 1985 ma furono schiantati da Martina Navratilova e Pam Shriver). La stessa Navratilova fu protagonista della terza e ultima “battaglia”, il 25 settembre del 1992. Connors quarantenne contro Martina, 35enne fu impari anche con le speciali regole concesse per riequilibrare il match (Connors aveva a disposizione solo la prima di servizio mentre la Navratilova poteva rispondere anche in corridoio). Niente da fare comunque, 7-5/6-2 per il “vecchio” Jimmy. Uomo 2, donna 1 e pietra sopra a questa battaglia simbolica e politica che forse serviva solo a “resuscitare” campioni attempati.

Proprio la nostra Serena Williams non è esente da un peccato originale. Era il 1998 quando le sorelle dichiararono di poter essere in grado di sconfiggere qualsiasi tennista uomo posizionato oltre la 200ª posizione del ranking mondiale. Il numero 203, Karsten Braasch giocò allora il primo set contro Venus Williams vincendo per 6-2, poi sconfisse 6-1 Serena Williams nel secondo set. Il giocatore umiliò le sorelle anche in conferenza stampa affermando che la partita sarebbe stata interessante solo con un tennista posizionato intorno alla 600ª posizione.

Le partite sono esibizioni ma questa battaglia in effetti salta fuori periodicamente e verte più sui compensi dei tornei. Se anche il numero 1 del mondo, Novak Djokovic, poco dopo Indian Wells di quest’anno sbottò sui guadagni equiparati di uomo e donna, la battaglia, si capisce, è ancora in atto. Il serbò ritrattò quasi subito, riconoscendo alle donne del circuito i meriti di anni di battaglie ma masticando amaro per la convinzione di aver detto il vero. Gli uomini giocano più set, e le donne godono della notorietà che gli uomini danno a questo sport. Un putiferio gli ha ricacciato in gola queste affermazioni arrivate alle orecchie della stessa Billie Jean King, 73 anni a novembre, ma battagliera più che mai. A 43 anni di distanza torna utile il famoso slogan del circuito femminile di quegli anni “You’ve come a long way, babe” Ne hai fatta di strada, ragazza. Forse, non abbastanza.


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