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Elezioni Usa 2016, si dimette il capo della campagna di Trump: il Nyt lo accusò di aver preso soldi da ucraini filorussi

Il candidato repubblicano alla Casa Bianca perde un'altra pedina importante del suo staff, dopo il licenziamento del manager Lewandowski
Elezioni Usa 2016, si dimette il capo della campagna di Trump: il Nyt lo accusò di aver preso soldi da ucraini filorussi
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Altro problema per Donald Trump in vista delle presidenziali Usa dell’8 novembre. “Stamattina Paul Manafort mi ha presentato le sue dimissioni e io le ho accettate”, riferisce il candidato repubblicano. Trump ha ringraziato il suo ex capo della campagna elettorale per il “gran lavoro” realizzato durante le primarie e la convention di Cleveland.

E’ l’ennesimo terremoto ai vertici della campagna di Trump, dopo quello che, lo scorso giugno, aveva portato al licenziamento del manager Corey Lewandowski e la breve ascesa di Manafort. Il suo ruolo era stato già ridimensionato due giorni fa dopo un nuovo “rimpasto” effettuato da Trump riguardo al suo team elettorale nella corsa alla conquista della Casa Bianca. A poche ore dalle scuse pronunciate dal magnate americano – “rimpiango di aver detto cose sbagliate” – e dopo gli attacchi ricevuti dal responsabile dei discorsi scritti per il Comitato nazionale repubblicano, Richard Cross e le defezioni di 50 dirigenti del Grand Old Party, un altro esponente di punta del partito repubblicano si allontana dal tycoon.

Manafort era salito alle cronache quando il New York Times lo aveva accusato di essere il protagonista di un giro di milioni di dollari “non limpidi” che avrebbe ricevuto come compensi “non dichiarati” da movimenti ucraini filorussi. Il quotidiano aveva ventilato possibili collegamenti tra la Russia di Putin e il candidato repubblicano, con le conseguenti speculazioni sulla volontà di Mosca di influenzare la corsa alla Casa Bianca. Manafort non ha mai smentito di avere avuto contatti importanti a Kiev, avendo per diverso tempo lavorato per l’ex presidente ucraino Viktor Janukovyč, discusso presidente dalla linea autoritaria, fuggito in Russia nel 2014 dopo i moti di piazza Maidan, che sfociarono nell’annessione russa della Crimea e poi nella guerra del Donbass.

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