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Siria, Aleppo come Sarajevo: dopo quattro anni di assedio 40mila morti e 300mila civili in trappola - 4/6

La città schiacciata tra Isis, ribelli "moderati" e governativi di Assad appoggiati dai russi. Che si combattono anche controllando gli impianti dell'acqua, diventata un bene troppo costoso per molte famiglie. Dal 2012 a oggi, la cronaca di una guerra poco raccontata e la mappa ragionata delle forze in campo
Siria, Aleppo come Sarajevo: dopo quattro anni di assedio 40mila morti e 300mila civili in trappola - 4/6
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Aleppo come Sarajevo

L’assedio totale di Aleppo, che secondo alcuni analisti ricorda quello di Sarajevo, è cominciato a quattro anni dall’inizio della battaglia per il controllo della città. E’ il 19 luglio del 2012 quando dai 6000 ai 7000 uomini di 18 formazioni d’opposizione, unitesi in un fronte comune sotto l’ombrello dell’Esercito libero siriano, si riversano nella metropoli dalla periferia e dalle campagne. Il quartiere di Salaheddin diventa teatro dei primi scontri. Nei mesi successivi, le forze di opposizione si attestano vicino al centro storico che si trasforma di fatto nella linea di confine che separa a lungo i due fronti e le ‘due Aleppo’.

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In ordine di tempo, Aleppo è stata l’ultima fra le grandi città siriane a diventare teatro di manifestazioni di protesta contro il governo. Per molti analisti, il ritardo è comprensibile se si prende in considerazione la ricca borghesia della città – rappresentante del potere locale – e i rapporti di questa con le autorità: i primi hanno garantito un controllo capillare e i secondi, in cambio, hanno lasciato inalterate le dinamiche di potere locale. Oltre a questo accordo, la memoria collettiva degli eventi degli anni 80 potrebbe aver giocato un ruolo nel cauto risveglio della città. Gli “eventi degli anni ottanta” culminarono con l’assedio della città da parte delle forze governative che repressero nel sangue, con migliaia di vittime civili e arresti indiscriminati, l’insurrezione capeggiata dal braccio armato dei Fratelli musulmani, allora guidato da Adnan Uqua e Husni Abo, entrambi rappresentanti di quell’ala oltranzista del movimento islamico che scelse la lotta armata.

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Per questo – dichiarava Abu Ismael, un cittadino di Aleppo intervistato dal Guardian nel 2012, qualche mese dopo l’inizio dell’offensiva – i ribelli volevano prendersi una rivincita contro gli aleppini perché hanno pensato che noi li avessimo traditi, ma si sono dimenticati che la maggior parte delle persone ad Aleppo sono commercianti e un commerciante paga per risolvere i suoi problemi. Dovremmo distruggere il nostro business e perdere i nostri soldi?”. “Nei primi mesi – proseguiva Abu Ismael – i ribelli erano davvero un gruppo rivoluzionario unito, ma ora è tutto differente: ci sono quelli che sono qui solo per fare soldi, e quelli che combattono ancora”. Nonostante le resistenze di parte dell’élite cittadina, nell’agosto del 2012, 48 notabili della città annunciano di abbandonare il supporto e il finanziamento del governo, schierandosi a favore dell’opposizione. Danno vita a un consiglio locale di transizione che mira a “riempire il vuoto amministrativo e compiere tutti gli sforzi per unire le forze rivoluzionare”.

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