Forse Ciancimino junior, non ha rubato una tangente alla mafia, lui lo nega, ma che si sia davvero divertito ci sono pochi dubbi. Sepolto nel 2002 il padre, secondo la procura, Massimo ha ereditato il suo tesoro: centinaia e centinaia di milioni di euro, gestiti all’estero, su conti correnti che spaziano dalla Svizzera al Portogallo, dal Canada alle isole Vergini, da commercialisti e avvocati di grido. Soldi in parte investiti in una società di distribuzione di energia, la Gas spa, un’azienda poi rivenduta per 120 milioni di euro a una multinazionale spagnola, per la quale lavoravano in appalto molti uomini di Provenzano.. Ecco perché Massimo, nonostante gli appena 54mila euro all’anno di reddito dichiarato, gira a Roma in Ferrari Scaglietti. Ecco perché a Panarea va in vacanza assieme alla Palermo che conta in yacht o in elicottero.
È strana certe volte la vita, pensa Binu il ragioniere. Senza di lui quel tesoro i Ciancimino non sarebbero mai riusciti a metterlo da parte. Anzi, per molti, quel tesoro è suo. E invece mentre Massimo Ciancimino si diverte, Angelo e Paolo, i suoi figli, i figli del capo dei capi, vanno avanti a capo chino a lavorare e anche lui, il Padrino, adesso è lì, tra le montagne di Corleone, seduto a leggere le lettere di Matteo con l’unica speranza di trovare presto un’altra via di fuga. Ma la situazione è grave. Pure nel trapanese gli uomini d’onore sono in crisi.

Il «caro nipote Alessio» spiega che ci vorrebbe un prestanome a cui intestare una grande pompa di benzina (con annesso bar e tabacchi), ma sceglierlo non è semplice perché «gli sbirri sequestrano sempre» e alla fine «non si trovano più neppure i rincalzi dei rincalzi». Per questo «ci sarebbe bisogno di un interessamento politico per accelerare i tempi […] ma lei sa che quelli [i politici] non fanno niente per niente e in questo momento con loro non abbiamo grande potere contrattuale».

Nell’ottobre del 2005 la Casa delle libertà ha modificato la legge elettorale. Alle nazionali si vota solo per i partiti, non più per i singoli candidati. Stringere patti scellerati diventa molto più difficile: solo a livello regionale le cose restano quelle di prima. «Come ci dobbiamo comportare?», domanda Matteo Messina Denaro, «le chiedo se lei ha preferenze e consigli da dare». Il giovane boss è preoccupato, capisce che senza politica, la mafia non potrà campare a lungo, sente addosso il peso di tutte le proprie responsabilità e anche di quelle che sembra affidargli Provenzano: «Lei dice che io sono migliore di lei? Non, non sono migliore, io mi rivedo in lei e credo nella nostra Causa, sono cresciuto in questo e così sarà fino alla morte»

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