Tre anni fa aveva ottenuto l’elezione a presidente del consiglio comunale soltanto dopo aver sottoscritto un patto: a metà del mandato si sarebbe dimesso per cedere l’incarico ad un altro consigliere della sua stessa coalizione. Un modo come un altro per spartirsi il gettone di presenza, che per il presidente é più ricco rispetto a quello degli altri consiglieri. Non si trattava, però, solo di un accordo verbale, ma di un vero e proprio contratto messo nero su bianco, con tanto di lettera di dimissioni firmata al momento dell’elezione. E’ quello che è successo a Capaci, comune in provincia di Palermo, dove nel 2013 Giancarlo Puccio era riuscito a farsi eleggere sulla poltrona più alta del consiglio comunale, soltanto dopo aver sottoscritto un documento: si sarebbe dimesso dall’incarico a partire dal 31 dicembre 2015, e cioè trenta mesi dopo l’elezione.

Un caso più unico che raro, che ricorda da vicino il trattamento riservato a centinaia di lavoratori precari, costretti a firmare la lettera di licenziamento nello stesso momento in cui vengono assunti. Solo che in questo caso, i documenti firmati da Puccio non hanno, ovviamente, alcun valore legale. E infatti, proprio quando era arrivato in teoria il momento di dare seguito agli accordi presi, ecco che Puccio ci ha ripensato: avrebbe continuato a fare il presidente del consiglio comunale, senza dimettersi come aveva invece promesso due anni e mezzo prima.

Una decisione legittima, dato che nessuno potrebbe mai obbligare il presidente del consiglio comunale ad abbandonare il suo incarico solo in base agli accordi sottoscritti con la sua coalizione. Non la pensano così, però, i consiglieri comunali di una lista civica, battezzata Amicizia, che avevano eletto Puccio: furiosi per le promesse non mantenute, sono scesi sul piede di guerra. A gennaio hanno quindi depositato una mozione di “sfiducia costruttiva” (la definiscono proprio così) per il presidente del consiglio, in cui rendono nota per la prima volta l’esistenza di quel patto siglato subito dopo le elezioni.

“La nomina del consigliere comunale Puccio Giovanni Carlo alla carica di presidente del consiglio comunale è stata frutto di un preciso, chiaro e condiviso accordo, che prevedeva l’alternanza a metà mandato nella carica di presidente del consiglio comunale con altro consigliere comunale del medesimo gruppo politico e/o della coalizione, tant’è che lo stesso sig. Puccio sottoscriveva un documento con il quale accettava le dimissioni volontarie dalla carica in questione con decorrenza 31.12.2015”, scrivono i consiglieri nella loro mozione di sfiducia, ritirata solo nei giorni scorsi, dopo che la storia aveva fatto ormai sorridere l’intera città.

“Secondo me non hanno ritenuto opportuno leggere in municipio il testo della loro mozione”, dice Aldo Sollami, esponente di un’altra lista civica, La Prospettiva. “Sicuramente è una vicenda al limite del tragicomico – continua Sollami – la verità è che a Capaci, come altrove, si utilizzano le cariche politiche solo per incassare i bonus economici: è per questo motivo che si erano accordati prima sulla durata del mandato del presidente comunale, manco fosse un contratto a progetto”. Solo l’ultimo paradosso di una terra capace di produrre precariato persino tra i politici locali.

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