Cattive, pessime notizie per gli oceani della fascia subtropicale. Dalla James Cook University di Townsville, QLD, Australia, l’équipe denominata National Coral Bleaching Taskforce ha recentemente diramato le seguenti informazioni: sono state effettuate delle osservazioni aeree di circa 900 reef della Grande Barriera Corallina australiana, dalla punta settentrionale dello Stretto di Torres fino a Sud di Mackay, per finire con l’ultima ricognizione dell’estremità meridionale al largo della Grande Barriera. Sulla base dello schema valutativo di Ray Berkelmans, che classifica lo sbiancamento dei coralli su una scala da 0 (poco) a 4 (severo), il 95% dei reef osservati sono già severamente sbiancati.

barriera corallina 3

In sostanza, ad oggi 2016, la quantità di reef che ricade nelle due categorie più alte è di 3-4 volte superiore a quelle del 1998 e del 2002, gli anni del fenomeno noto come El Niño. Cosa vuol dire sbiancamento dei coralli? Come funziona? Perché ci dovrebbe interessare, poi? Provo a spiegarlo per come lo so io, senza presunzioni accademiche. Il colore dei coralli è dovuto alla presenza di un’alga simbionte (ossia che vive in uno stato di simbiosi coi polipi del corallo stesso) che si chiama zooxantella. La zooxantella vive coi polipi perché? Perché mentre lei esegue la fotosintesi clorofilliana che le da sostentamento vitale, e lo fa annidata fra i polipi per starsene protetta e al sicuro, essi a loro volta sfruttano gli scarti della fotosintesi che si da il caso siano altamente energetici, dunque nutrimento a loro volta. Quindi è automatica una considerazione: più in salute è il corallo, più è alta cioè la concentrazione di zooxantella -che, ricordiamolo è un’alga, e di conseguenza pigmentata- più saranno colorati e di aspetto florido i coralli.

Ma. In condizioni di grande stress, come per esempio a seguito di un brusco innalzamento di temperatura, i polipi espellono la povera alga, e il suo abbandono ha come conseguenza fatale lo sbiancamento dei coralli. Viene loro a mancare, in breve, la fonte di circa il 90% del fabbisogno energetico, e va da sé che a livello visivo il fenomeno porta alla progressiva perdita di pigmentazione della barriera che, appunto, si schiarisce. Lo scheletro di carbonato di calcio di cui sono fatti i coralli rimane visibile, non è più caratterizzato dalle allegre livree delle zooxantelle, e piano piano tutto il corallo muore, se il fenomeno stressante non rientra.

Le barriere coralline sono un po’ il polmone del mare, tipo l’Amazzonia per la Terra. Al di là della sopravvivenza dell’intero ecosistema (dai microscopici polipi ai giganteschi squali balena), la morte dei coralli favorirebbe anche l’innalzamento delle acque, dunque il rischio di penetrazione da parte di acqua marina salata nelle falde di acqua dolce, inficiandone dunque la qualità e la potabilità. Insomma ci sono decine di motivi, se non centinaia, per i quali le barriere andrebbero tutelate e preservate. Senza necessariamente essere ambientalisti hard core o chissà cosa. È una questione di mero buonsenso.

Dal fronte maldiviano le cose non sono molto più rosee. Fa davvero caldo. E va bene perché siamo dai 3 agli 0 gradi sopra l’Equatore, ma intendo dire in acqua: seriamente, ci sono 30° fissi dai meno cinque ai meno cinquanta metri -oltre è facile che sia uguale ma non lo so perché non ci sono stata. Per non parlare dei 31° se non 32° della superficie. Si prevede un’altra ondata di sbiancamento, qui come sulla Grande Barriera. Un terzo, devastante Niño. Stamani uscendo in immersione si sentiva un cattivo odore provenire dalla superficie. Uova marce, pesce andato a male, qualcosa di simile. Sulla superficie piatta del mare l’inequivocabile residuo di quello che si chiama “fioritura del corallo”, noto ai più raffinati come “coral spawning”. Cioè la classica spumetta arancione/rossiccia dell’emanazione da parte dei polipi di semi e gameti nel tentativo di riprodursi. In determinati periodi dell’anno, in certe notti di luna piena, sussistendo alcune condizioni e tutto il resto, il corallo emette semi e gameti per la riproduzione sessuata.

Non siamo ancora in plenilunio e di solito questo fenomeno lo notiamo fra Ottobre e Dicembre. Non voglio azzardare ipotesi astruse, ma di certo sappiamo che in momenti di grande emergenza, il corallo realizza di avere un futuro tetro davanti a sé e, come ultimo disperato tentativo di sopravvivere alla catastrofe, si riproduce fuori tempo onde lasciare il più alto numero di individui potenziali che ne ereditino caratteristiche e aspetto, e vadano a colonizzare altre porzioni di barriera. Che sia il caso, adesso? Non lo so. Certo il dubbio mi viene e il cuore mi piange per questo mare che non si può difendere.

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