L’ambasciatore italiano in Egitto, Maurizio Massari, ha lasciato il Cairo ed è rientrato in Italia, dove è stato richiamato per consultazioni dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (nella foto) in seguito al fallito vertice tra inquirenti italiani ed egiziani per fare il punto sugli sviluppi delle indagini sul caso Regeni. Proprio l’atteggiamento del team egiziano e il mancato “cambio di passo” chiesto da Gentiloni all’Egitto hanno spinto il ministro a convocare a Roma l’ambasciatore per valutare “i prossimi passi” da compiere sul fronte diplomatico. Secondo il Corriere della Sera il titolare degli Esteri sta valutando di “sconsigliare” formalmente di recarsi in Egitto per turismo. Non solo. Gentiloni sta pensando di sospendere alcuni accordi bilaterali, tra cui quelli tra università, e di chiedere a organismi internazionali come l’Onu o la Banca Mondiale di condannare l’atteggiamento dell’Egitto riguardo al rispetto dei diritti umani.

Gentiloni ha ribadito la necessità di ottenere i dati chiesti dalla Procura di Roma all’Egitto. “Le indagini investigative nel mondo si fanno molto spesso basandosi sui tabulati, sulle intercettazioni. Se non ci fosse il traffico di celle telefoniche, buona parte delle indagini che si fanno anche nei Paesi più attaccati alla privacy non si farebbero”, ha ribadito da Hiroshima, dove si trova per il G7 dei ministri degli Esteri. “Io rispetto gli argomenti dei governi con cui abbiamo a che fare però bisogna giudicare con buon senso, e il buon senso dice che nelle indagini si usano questi strumenti. Dalle Alpi alle Piramidi” ha aggiunto Gentiloni precisando che “non c’è da parte nostra una rinuncia a chiedere che venga assicurata la verità, come è doveroso che sia. C’è la decisione, visto che il livello di collaborazione si è rivelato insufficiente, di prendere delle misure che diano questo segnale di insoddisfazione in modo proporzionato e senza scatenare guerre mondiali”. “Ho sentito parlare da parte del governo egiziano di politicizzazione della vicenda – ha detto ancora il titolare degli Esteri -: è chiaro che la vicenda è sommamente politica, ma vorrei sottolineare il fatto che il governo ha fatto quello che aveva annunciato in Parlamento e, di fatto, prendendo atto delle decisioni della procura della Repubblica e dei nostri investigatori. Sarebbe stato curioso il contrario, visto che la procura del resto insiste, come è giusto insistere, e ha avanzato un’ulteriore richiesta di rogatoria”.

Intanto emergono dettagli inquietanti ma che fanno ben capire come fin dall’inizio l’Egitto non abbia mai avuto intenzione di fare piena luce sull’omicidio del ricercatore italiano. Repubblica rivela che i nostri investigatori (tre poliziotti dello Sco e tre carabinieri del Ros), inviati dal 5 febbraio e il 30 marzo al Cairo per indagare, sono stati spiati per tutta la durata della loro permanenza. Per otto settimane il nostro team è stato sorvegliato, intercettato e pedinato dalle forze dell’ordine e dagli apparati di sicurezza egiziani che ne hanno azzerato la libertà di azione costringendolo a lavorare in condizioni impossibili, nonostante la tanto sbandierata “cooperazione” invocata dalle autorità del Cairo.

L’epilogo è rappresentato dal fallimentare summit tra gli inquirenti dei due Paesi che si è tenuto a Roma nei giorni scorsi, quando la rappresentanza egiziana ha nuovamente negato ai magistrati di Roma l’accesso ai tabulati telefonici – perché “sarebbe contro la Costituzione e le leggi vigenti egiziane”, ha spiegato il procuratore generale aggiunto egiziano Mostafa Soliman – e ha rispolverato dal cassetto l’assurda pista secondo cui gli assassini di Regeni siano i rapinatori massacrati dalla polizia.

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