Le reazioni che si susseguono da parte degli uomini di Renzi alle dimissioni-lampo del ministro Federica Guidi per una serie di intercettazioni da cui emerge la sua impressionante sfera di interessi personali e diretti nella mega-inchiesta sul petrolio in Basilicata sono direttamente proporzionali al timore di essere travolti ed inversamente proporzionali alla logica e alla chiarezza.

Già solo il riflesso condizionato berlusconiano che hanno mutuato senza soluzione di continuità sui “tempi sospetti” dell’inchiesta che impatta in modo deflagrante con il referendum del 17 aprile dà il senso di non responsabilità e di faziosità da cui è animata la maggioranza del partito di governo.

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Lanciare il sospetto, anche se a mezza voce, che “la giustizia ad orologeria” voglia condizionare l’esito della consultazione sulla revoca o meno delle concessioni petrolifere alla scadenza naturale  conferma quanto sia “scoperto il nervo” del governo sul fronte energetico.

Un esecutivo che prima ha messo come ministro “tecnico” una rappresentante degli interessi dei petrolieri e quando deve liberarsene per “indifendibilità manifesta” si preoccupa solo di serrare i ranghi per blindare il ministro per i rapporti con il Parlamento che ha fatto rientrare nella legge di Stabilità l’emendamento “magico” (“pare che ci sia l’accordo con Boschi e compagni”), già sottratto dallo Sblocca-Italia in extremis grazie al M5S, per far ottenere il subappalto milionario al fidanzato del ministro.

E come le logiche degli interessi personali o di clan familistici all’interno del governo si saldino con l’arroganza anti-istituzionale di cui si fa incredibilmente portatore il presidente del Consiglio trova brillante conferma nell’invito “ad andare al mare” di craxiana memoria il prossimo 17 aprile: un’iniziativa presa con assoluto disprezzo della minoranza del partito che configura, come ci ha ricordato Michele Ainis, un’astensione organizzata e tuttora sanzionata con pene detentive da due norme mai abrogate per “chi sia investito di un pubblico potere”.

In questo senso, non andare a votare come scelta di saggezza, si è espressa senza mezzi termini anche Teresa Bellanova divenuta viceministro allo Sviluppo con delega all’Energia, dopo il rimpasto con cui Renzi ha premiato alfaniani e fedelissimi: e guarda caso è gettonatissima come successore della Guidi.

Invece di dare segnali di inversione di tendenza e di prendere atto del sistema che i magistrati hanno definito di “criminalità organizzata ambientale su base imprenditoriale” che aveva trovato una solida sponda all’interno del governo il presidente del Consiglio si è limitato a giudicare “opportune” le dimissioni della Guidi, contrapposta abbastanza curiosamente come esempio positivo, al “caso Cancellieri” e “doverosa” la firma della Boschi all’emendamento “sacrosanto“.

E di quel sistema fondato sulla “criminalità organizzata ambientale” il paesino dominato dall’ex sindaco Pd divenuto referente della Total che si vantava di essere “un ufficio di collocamento” e aveva costituito la sua bella società è una perfetta e suggestiva istantanea.

Tra gli esponenti renziani prevalgono lo stupore per la coincidenza temporale tra le iniziative della magistratura ed il referendum, la difesa d’ufficio della Boschi che “non poteva controllare tutto”, il dileggio per l’opposizione e per il M5S in primis che vuole sfiduciare tutto il governo. Anzi il sempre zelantissimo Ernesto Carbone oltre a inveire contro l’ennesima mozione inutile ed accusare Di Maio di strumentalizzare il suo ruolo istituzionale di vice-presidente non sapendo dove andare a parare nel presente tenta, davanti al coinvolgimento di un ministero pesante in due inchieste pesantissime e strettamente collegate, di ritornare al “caso Quarto” su cui “gli italiani aspettano ancora spiegazioni”.

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