“Ingiustificabile l’inerzia dei medici e illogico non aver fatto nuova perizia”. E inoltre “non sono state fornite spiegazioni esaustive e convincenti del decesso di Stefano Cucchi“. Sono queste le motivazioni della Cassazione in base alle quali il 15 dicembre scorso è stato disposto un appello-bis per omicidio colposo e sono state annullate le assoluzioni dei cinque medici dell’ospedale Pertini. Erano stati invece definitivamente assolti invece tre agenti di polizia penitenziaria, il medico che per primo visitò Cucchi e i tre infermieri finiti sotto procedimento.

Secondo la Cassazione, si legge nel testo, i medici dell’ospedale Pertini avevano una “posizione di garanzia” a tutela della salute di Cucchi e il loro primo dovere era diagnosticare “con precisione” la sua patologia anche in presenza di una “situazione complessa che non può giustificare l’inerzia del sanitario o il suo errore diagnostico”. Nelle 57 pagine depositate mercoledì 9 marzo dai giudici, sono contenute anche le motivazioni del proscioglimento dei tre agenti penitenziari coinvolti nella vicenda: secondo i giudici infatti viste le “plurime deposizioni di fondamentale importanza” secondo cui il giovane “sarebbe stato aggredito da appartenenti all’arma dei carabinieri” e “quindi prima di essere preso in carico dagli agenti di polizia penitenziaria tratti a giudizio” è da escludere il coinvolgimento degli agenti del penitenziario.

Nel documento si sottolinea poi che non sono state fornite “spiegazioni esaustive e convincenti del decesso“, motivo per cui nel processo bis assieme alle cause della morte, dovrà essere accertata anche “la concreata organizzazione della struttura, con particolare riguardo ai ruoli, alle sfere di competenza e ai poteri-doveri dei medici coinvolti nella vicenda”. Il tutto “senza dimenticare che il medico che, all’interno di una struttura di tal genere, riveste funzioni apicali è titolare di un pregnante obbligo di garanzia ed è, pertanto, tenuto a garantire la correttezza delle diagnosi effettuate e delle terapie praticate ai pazienti”.

Coinvolti nel processo bis il primario Aldo Fierro, Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo. Secondo il verdetto, gli stati patologici di Cucchi, preesistenti e concomitanti con il politraumatismo per il quale fu ricoverato, avrebbero dovuto imporre “maggiore attenzione ed approfondimento“, con ricorso alla “diagnosi differenziale”.

I giudici inoltre scrivono che è di “manifesta illogicità” la decisione con la quale la Corte di assise di Appello di Roma nel processo per la morte di Stefano Cucchi, “ha escluso di procedere ad un nuovo accertamento peritale” sostenendo che “non residuano aspetti delle condizioni fisiche di Cucchi che non siano stati già esplorati e valutati dagli esperti nominati”. Quindi un nuovo accertamento “per l’imponente mole del materiale probatorio acquisito agli atti” si sarebbe potuto svolgere sugli atti stessi, “giovandosi anche dei contributi forniti dai diversi esperti” e non può essere impedito dalla solo “affermata” – dai giudici dell’ appello – “impossibilità di effettuare riscontri sulla salma di Cucchi”. Sulle cause della morte di Cucchi, scrive la Cassazione condividendo le parole usate nella sua requisitoria dal Pg Nello Rossi, non può esserci “una sorta di ‘resa cognitiva’”. Ad avviso dei giudici era ben argomentata, dai giudici di primo grado che avevano condannato i medici del Pertini, l’individuazione della causa della morte del giovane nella sindrome da inanizione, decesso per mancanza di nutrimento in un soggetto già sottopeso e politraumatizzato.

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