Non sarà chiuso l’ufficio postale al 4 di via Amiata a Monticello, frazione del comune grossetano di Cinigiano. Il fatto di per sé meriterebbe sì e no una notiziola in cronaca locale se non fosse che la scelta di tenere in vita quel piccolo ufficio è stata imposta alle Poste guidate da Francesco Caio dai giudici di un tribunale amministrativo ed è destinata a segnare una svolta. La sentenza del Tar della Toscana si somma a quella già emessa all’inizio di ottobre 2015 dal Tar della Lombardia per il comune di Olevano di Lomellina e ne amplia e rafforza il senso. E’ stata depositata giovedì 25 febbraio ed è un passo cruciale contro la decisione presa un anno fa dai nuovi capi delle Poste di chiudere 375 uffici in tutta Italia e di ridurre al lumicino l’apertura di altri 580, circa 1.000 punti situati in zone montane, in aperta campagna e in aree periferiche e disagiate. La deliberazione dei giudici toscani prende le mosse dalla vicenda del minuscolo ufficio di Monticello sull’Amiata, ma non riguarda solo quello. Al contrario entra nel merito della scelta delle Poste contestandola dal punto di vista generale e fissando così un punto fermo nel braccio di ferro che oppone le stesse Poste a molti sindaci, l’Uncem, l’associazione che raggruppa i Comuni della montagna, e l’Anci, che riunisce tutti i Comuni italiani.

Per le Poste la chiusura o la drastica limitazione dell’apertura dei circa mille uffici periferici è un punto strategico imprescindibile del piano industriale preparato da Caio. L’idea sarebbe stata quella di prendere gli oltre mille dipendenti impiegati negli uffici periferici considerati improduttivi e di trasferirli in una delle 13.800 agenzie meno remote e ritenute più profittevoli. In un primo tempo le chiusure sarebbero dovute scattare ad aprile 2015, poi la decisione è stata fatta slittare in considerazione del fatto che di lì a poco ci sarebbero state le elezioni amministrative e al Pd non conveniva arrivarci con un biglietto da visita così poco invitante. La campagna delle chiusure fu rinviata a dopo l’estate e a quel punto si trovò di fronte il muro dell’opposizione dei comuni.

In questa battaglia si è distinta, in particolare, l’Uncem della Toscana di cui è presidente Oreste Giurlani, che è anche vice presidente nazionale dell’associazione e sindaco del comune pistoiese di Pescia. E’ stata l’Uncem toscana a convincere i sindaci ad avviare azioni legali presso il Tar ottenendo in autunno dai giudici amministrativi un primo decreto di sospensione della decisione delle Poste. Spiega il presidente-sindaco Giurlani: “Già tre anni fa le Poste chiusero in Toscana una quarantina di uffici; in quell’occasione cercammo di usare le armi della politica per contrastare la decisione che consideravamo sbagliata e ingiusta. Cercammo di spiegare le nostre ragioni ai ministri e al governo di allora, ma purtroppo non ci filarono per niente. Così questa volta, per impedire che facessero il bis danneggiando i cittadini delle nostre zone, ci siamo rivolti direttamente ai giudici. E i giudici ci stanno dando ragione; la sentenza del Tar dal nostro punto di vista è epocale“.

I giudici amministrativi hanno bocciato su tutta la linea le scelte delle Poste. Prima di tutto per il metodo: le chiusure sono state imposte senza che i sindaci potessero discuterne così da trovare insieme eventuali soluzioni di ripiego o alternative. Ma anche nel merito: la decisione di Poste di chiudere tutti quegli uffici lede il principio del servizio universale in base al quale le stesse Poste tramite un contratto sottoscritto con lo Stato ricevono ogni anno una somma consistente, dai 250 ai 300 milioni di euro. In cambio sono tenute a garantire il servizio postale “in tutti i punti del territorio nazionale incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane… secondo criteri di ragionevolezza, attraverso l’attivazione di un congruo numero di punti d’accesso, al fine di tenere conto delle esigenze dell’utenza”. I giudici amministrativi hanno stabilito che la chiusura di un ufficio postale “non può essere disposta solo per ragioni di carattere economico … senza ponderare il pregiudizio alle esigenze degli utenti derivante dalla chiusura dell’ufficio individuando valide soluzioni alternative“.

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