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Rincarando la dose, direi che si tratti soprattutto di una questione di testa. Nel calcio come in politica, per uscire dalla metafora. La Spagna, secondo i dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica iberico, continua a dare segnali positivi per quanto riguarda la crescita del Pil: aumento dello 0,8% nel quarto trimestre del 2015 rispetto al precedente, del 3,5% rispetto allo stesso periodo del 2014. Numeri decisamente rincuoranti, visto che si tratta delle rilevazioni migliori dal 2007. L’economia spagnola corre, almeno stando a quanto ci dicono gli indicatori macroeconomici, e il dato è confermato anche dalle statistiche sul tasso di occupazione nel Paese: +2,8% rispetto alla fine del 2014, nonostante i numeri restino ancora complessivamente abbastanza alti (20,9% di disoccupati).

Si potrebbe considerare tutto questo come una vittoria dei sostenitori dell’austerity e di Mariano Rajoy, considerate le politiche che sono state intraprese dall’esecutivo spagnolo negli ultimi anni. Ma il Paese, al momento, corre senza guardare dove va. Dopo i risultati delle elezioni di dicembre, la Spagna non ha ancora un governo e la situazione è più bloccata che mai.

Nel centrodestra, un’alleanza tra i popolari e Ciudadanos non porterebbe il partito di Rajoy ad avere i numeri necessari per raggiungere l’asticella della maggioranza assoluta, ferma a 176 seggi. Ugualmente complicata è la situazione a sinistra, dove un’eventuale alleanza tra i socialisti e Podemos si fermerebbe comunque al di sotto della soglia per garantire la governabilità. La creazione di una grossa coalizione di sinistra con dentro PSOE, Podemos e partiti minori (tra cui Izquierda Unida) potrebbe rappresentare una soluzione possibile, ma l’ipotesi è resa meno percorribile dalle garanzie di governabilità che, in quel caso, poggerebbero sulle spalle di partitini con un numero di deputati sotto le dieci unità a testa.

Uno scenario all’italiana, insomma, come titolava El País all’indomani della tornata elettorale (e pensare che proprio alla Spagna ci siamo ispirati per scrivere l’Italicum). Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: se gli indicatori economici apparentemente danno ragione a Rajoy, come mai il popolo ha votato così diversamente?

Qualche tempo fa ho avuto una chiacchierata con Tania González Peñas, eurodeputata di Podemos e membro del gruppo della sinistra europea Gue/Ngl a Strasburgo, in occasione della rassegna EurHope? organizzata a Bari dallo stesso eurogruppo: “Ci sono dati macroeconomici che dicono che la Spagna si sta riprendendo, ma la realtà nel Paese non è così, e l’occupazione che si sta creando è occupazione temporanea, al prezzo di distruggere il lavoro a tempo indeterminato”. Il Pil, a quanto pare, può dire quello che vuole, “ma il potere d’acquisto delle persone non è cresciuto, la capacità delle famiglie di superare i loro problemi economici non è migliorata e le disuguaglianze non sono diminuite negli ultimi mesi”.

In quale direzione si dovrebbe andare secondo Podemos, che con queste elezioni arriva a compiere il suo esordio nel parlamento nazionale, per fare in modo che il miglioramento delle condizioni a livello macroeconomico si rifletta nel Paese reale? “Per cominciare, c’è bisogno di ripensare il modello produttivo che abbiamo e scommettere sui giovani: quelli con un livello di formazione alto, per esempio, si trovano a dover andare fuori perché in Spagna non trovano lavoro. Ecco, dobbiamo scommettere su quell’impiego, su quella forza rigeneratrice e sull’innovazione tecnologica, come anche sull’impiego verde e nuove forme e modalità di lavoro”.

Podemos però, nella contrattazione con i socialisti, resta inflessibile su alcuni punti per un ipotetico programma di governo comune, come la necessità di una riforma costituzionale. La Spagna, a più di un mese dalle elezioni, è come un corpo che cammina (e si ipotizza possa continuare a camminare, visti i margini di crescita) con gli occhi bendati. Prima ancora di capire se andare a destra o a sinistra, i partiti dovranno scegliere se sbloccare la partita diplomatica sui compromessi o andare nuovamente al voto. In ogni caso, il terreno sembra diventare più fertile per delle scelte che possano – ad esempio – dare più sicurezze ai lavoratori e, magari, diminuire le disuguaglianze sociali. Resta solo da capire come capitalizzare effettivamente questi risultati, ma la domanda non può prescindere dal dubbio su chi sarà a farlo.

Le dichiarazioni dell’eurodeputata Tania González Peñas sono state tradotte dallo spagnolo da Maria Felicetti

 

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