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Se è vero, come dice Ben Carson, guru dell’ovvio, che non occorre essere politici per dire la verità, non è altrettanto vero che basta esserlo per dirla. Sul palco dell’ultimo dibattito in diretta televisiva fra gli aspiranti alla nomination repubblicana, prima dell’inizio delle primarie con le assemblee nello Iowa lunedì 1° febbraio, Donald Trump, uno che le spara grosse, non c’era. Eppure, le balle non sono mancate e l’Ap fa le pulci alle inesattezze che i rivali dello showman hanno sfoderato, apparendo a loro agio solo quando parlavano di lui, dell’assente.

Orfani dello showman, i suoi rivali hanno perso l’occasione per brillare di luce propria, invece che di luce riflessa. Altro che Magnifici Sette: su quel palco di Des Moines, Iowa, MidWest, c’erano piuttosto sette nani. Resta da vedere se Megyn Kelly, la moderatrice del dibattito, era Biancaneve o la Regina cattiva. Anche se bisogna ammettere che era difficile ignorare “l’elefante che non è nella stanza”, come ha detto la stessa Kelly, la ‘colpevole’ della decisione del magnate dell’immobiliare di boicottare l’evento (la giornalista di Fox News è rea di avergli posto domande scomode nel primo dibattito l’agosto scorso).

Niente Trump, dunque, ma tante frottole lo stesso: il senatore del Texas Ted Cruz ha ‘dato i numeri’ sull’assistenza sanitaria; lo stesso Cruz e il senatore della Florida Marco Rubio hanno accusato il presidente Obama di avere ridotto l’apparato militare degli Stati Uniti e di non armare i curdi in Siria – affermazioni entrambe false -; Cruz ha evocato “bombardamenti a tappeto” contro il sedicente Stato islamico, confondendo gli strumenti della Seconda Guerra Mondiale con quelli moderni; Rubio e Cruz hanno confuso le carte sull’immigrazione irregolare; e il governatore del New Jersey Chris Christie ha detto che la paga degli edili è diminuita negli ultimi otto anni, mentre è aumentata almeno del 15%.

Poco male. A parte l’Ap, se ne sono accorti in pochi. Mentre il confronto andava sugli schermi e ancora tenevano banco gli strascichi della polemica tra Trump e la Fox, il magnate dell’immobiliare organizzava, sempre a Des Moines, la capitale dello Iowa, una raccolta di fondi per i veterani che avrebbe fruttato sei milioni di dollari – uno ce l’ha messo lui -. C’erano più giornalisti lì che a sentire i sette nani..

I social network decretavano che il dibattito, senza Trump, era una noia, mentre Hillary Clinton ne bollava i protagonisti come completamente impreparati – un giudizio pre-cotto, che non sarebbe certo cambiato con Trump presente.
Eppure i sette candidati sul palco hanno cercato di ricavare il massimo dall’assenza di Trump, se non altro perché avevano più tempo a disposizione per dire la loro: c’erano i senatori Cruz e Rubio e quello del Kentucky Rand Paul, l’ex governatore della Florida Jeb Bush, i governatori Christie e dell’Ohio John Kasich e, infine, l’ex neurochirurgo Carson.

Cruz, l’uomo del Tea Party e per ora il rivale più pericoloso di Trump, che aveva sfidato il magnate dell’immobiliare ad affrontarlo in un dibattito testa a testa prima del voto (“90 minuti, Donald ed io”), ha scherzosamente insultato se stesso e tutti gli altri, facendo così “la parte di Donald”: “Io sono un maniaco – esordisce – e tutti voi su questo palco siete stupidi, grassi e brutti. E tu Ben sei un pessimo chirurgo”. Bush sceglie l’ironia: “Mi manca Trump – sempre stato caustico con lui -, è il mio orsachiotto”.
Nessuno dice cose nuove, sull’economia, l’immigrazione, la sicurezza. Tutti cercano di proporsi come credibili comandanti in capo. E tutti, a un certo punto, si ricordano di attaccare Hillary. Trump? Lui legge i sondaggi. Lo danno in testa fra i repubblicani negli Stati dove si vota a febbraio, Iowa, New Hampshire e South Carolina, mancano solo i dati del Nevada.

TRUMP POWER

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