Dalle case popolari di via Mazzoni a Castelsangiovanni (Piacenza), paese emiliano di 13mila abitanti alle porte della Lombardia, all’ormai celebre quartiere di Molenbeek (Belgio) e all’arresto in Marocco con l’accusa di essere “direttamente legato agli attentati terroristici di Parigi del 13 novembre scorso”. E’ la parabola di Gelel Attar, 26 anni di origini marocchine, ma nato nel 1989 e cresciuto in Valtidone dove è rimasto fino al 2004. Proprio qui in tanti, dai vicini di casa ai rappresentanti della comunità italo-magrebina, si ricordano di quel “bambino vispo, sempre insieme alla sorella mentre la mamma cuciva maglioni e che ha perso il padre in un incidente stradale”.

Una storia di immigrazione di seconda generazione come tante altre, quella di Gelal in Italia, che però nei giorni scorsi lo ha portato all’arresto in Marocco, poco lontano dalla capitale Casablanca, con l’accusa di essere uno dei fiancheggiatori di Chakib Akrouh, il kamikaze che si fece esplodere il 18 novembre a Saint Denis uccidendo anche il “cervello” delle stragi, Abdelhamid Abaaoud. A rivelarlo è stato il quotidiano francese «Le Monde». Nessuno, che abbia conosciuto lui e la sua famiglia a Castelsangiovanni – dove è rimasto fino al 2004 – riesce a spiegarsi come possa essere finito “in certi giri”.

Gelel-Attar Le Monde“Ho conosciuto benissimo il padre, siamo arrivati in Italia più o meno negli stessi anni. Era un uomo buono, un pezzo di pane”, ricorda il presidente della comunità italo-magrebina di Castello, Zahouri Bennaceur. “Ha sempre lavorato, si è spaccato la schiena per mandare avanti la famiglia e assicurare un futuro ai figli. Purtroppo nel ‘90 è morto, investito da un’auto”. Dista poco più di cinquanta metri, infatti, la strada al cui semaforo il padre di Gelel venne falciato da un’auto a causa di un rosso non rispettato. “Lavorava come commerciante ambulante e i bambini, appena nati, giovavano nei giardinetti di questi palazzo popolari. Quando abbiamo appreso la notizia dell’arresto non avevamo parole: siamo molto dispiaciuti perché i suoi genitori hanno fatto tanti sacrifici per farli stare bene”.

Anche gli ex vicini di casa si ricordano bene della famiglia Attar: “La mamma soprattutto era conosciuta qui”, dice una signora affacciata dal balcone, “lei ha sempre lavorato, cuciva maglioni. E ha sempre avuto grande attenzione per i figli. Non posso credere che quel bambino, così vispo ma educato, sia diventato un terrorista”. Così anche un signore che ha l’alloggio proprio di fianco a quello in cui aveva vissuto il ragazzo: “Il padre lavorava venti ore al giorno, tornava molto stanco dai mercati con il suo furgone, ma sempre disponibile. Poi purtroppo è morto, investito sulla strada a pochi passi da qui e la donna si lamentava di non avere più la possibilità di far mangiare i bambini”.

Una famiglia di immigrati arrivata a Castelsangiovanni nel 1987, che prima si stabilisce in affitto in via Mulini e dopo qualche anno riesce ad acquistare la casa. E’ alla morte del padre che iniziano i problemi. La madre, Zaira, non riuscendo più a coprire le spese si trasferisce nelle case popolari di via Mazzoni, al terzo piano del civico 4. Ma anche qui la vita non è semplice senza uno stipendio fisso. E così, avendo trovato un nuovo compagno (dal quale avrà altri due figli), decide di trasferirsi in Francia e poi in Belgio, a Molenbeek, nel quartiere arabo di Bruxelles.

E’ qui che Abou Ibrahim, come si faceva chiamare Attar, trascorre la sua adolescenza ed entra in contatto con gli ambienti che lo porteranno ad aderire – secondo le accuse – alla jihad dell’Isis. E’ datato 27 novembre 2014 il mandato di cattura internazionale spiccato contro di lui per la presunta partecipazione ad un’organizzazione che reclutava estremisti. Venerdì 15 gennaio Attar è stato arrestato a Mohammedia, vicino Casablanca, in Marocco. Si era nascosto in casa di parenti. “Il giovane – scrive «Le Monde» – aveva un’amicizia molto forte sia con Abdelhamid Abaaoud che con Chakib Akrouh”, i due terroristi degli attacchi del 13 novembre scorso che si sono rifugiati nel palazzone in rue Corbillon, a Saint Denis, dove hanno trovato la morte durante l’assalto della polizia.

Nel 2013, sempre secondo quanto ricostruito da Le Monde, Gelel ha accompagnato in Siria Chakib. I due, che nel frattempo erano finiti nel mirino dei servizi segreti, si erano conosciuti a Molenbeek attraverso Khalid Zerkani, uno dei reclutatori di jihadisti in Belgio e contro il quale la magistratura ha concluso lo scorso luglio un processo con ben trenta imputati.

Il marocchino di Castelsangiovanni era stato condannato in contumacia a cinque anni di reclusione per aver ospitato Zerkani nella propria abitazione, nel 2012, e per aver organizzato numerosi incontri per convincere potenziali candidati a partire per la jihad. In aula Gelel è stato definito “il braccio destro del predicatore”. E avrebbe incoraggiato le giovani reclute a commettere furti e rapine per finanziare le partenze per la Siria. Un’attività “dimostrata da intercettazioni telefoniche”.

Nonostante la sorveglianza delle forze dell’ordine belghe, il 26enne era riuscito a raggiungere la Siria per unirsi ai combattenti, prima sotto la bandiera di Al-Nosra e poi con l’Isis. In seguito era tornato in Belgio attraverso la Turchia e la Germania. Per poi ripartire alla volta del Marocco dopo aver fatto tappa in Olanda. Dal Medio Oriente avrebbe continuato a telefonare regolarmente alla famiglia e agli amici e, in alcuni casi, ad inviare fotografie che lo ritraggono in tenuta da combattimento e in compagnia di altri jihadisti.

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