Un vespaio così non si era mai visto a Palazzo Spada. Al Consiglio di Stato è scoppiata un’altra bomba dopo le polemiche seguite alla nomina del nuovo presidente. Questa volta Palazzo Chigi non ha chiesto che l’organo di autogoverno della magistratura amministrativa esprimesse un nominativo su cui apporre, come di consueto, un semplice sigillo. Ma ha invece preteso una rosa di cinque candidati su cui poter scegliere autonomamente. E alla fine ha puntato su Alessandro Pajno. Il primo effetto? Le dimissioni di Stefano Baccarini, che era in cima a quella lista di candidati e che, comunque, se ci si fosse attenuti alla prassi seguita da sempre, sarebbe oggi il nuovo presidente del Consiglio di Stato.

PORTE SBATTUTE Già segretario generale della Presidenza del Consiglio e sottosegretario all’Interno durante il governo Prodi che schierava Giuliano Amato al Viminale, Pajno è stato anche capo di gabinetto tra l’altro di Carlo Azeglio Ciampi quando era al Tesoro. E di Sergio Mattarella (all’epoca ministro della Pubblica Istruzione) a cui lo lega un solido rapporto di amicizia. Un profilo di altissimo e indiscusso valore.  Come pure quello degli altri candidati, Filippo Patroni Griffi, Sergio Santoro, Raffaele Carboni. E appunto Baccarini, da molti definito un tecnico puro. Che, dopo lo sgarbo del governo, ha deciso di sbattere la porta e andarsene. Le dimissioni, finora sono passate inosservate. Ma solo all’esterno mentre il clima è di grande scompiglio nel palazzo a due passi da Campo dei Fiori a Roma, da sempre fucina inesauribile di potentissimi mandarini di Stato chiamati in ruoli chiave nei governi più disparati.

DEPERIMENTO ORGANICO Ma il vento  sembra essere cambiato a Palazzo Spada: qui sono in molti a temere che quella del governo Renzi non sarà una rivoluzione gentile. Perché sulla ‘normalizzazione’ del Consiglio di Stato e dei tar si gioca una partita decisiva, sia sul piano sostanziale che di immagine: i lacci della giustizia amministrativa sono un nemico ideale su cui costruire lo storytelling del governo del fare. Ma che gli viene impedito dal lento che non vuole farsi veloce e dal vecchio che non vuole lasciare spazio allenovità. Il gesto di Baccarini non è meno clamoroso delle dimissioni, a settembre scorso, dell’allora presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giannini. Che inutilmente aveva denunciato la grave carenza di organico che si sarebbe prodotta a partire dal 1 gennaio 2016 per effetto delle nuove norme che hanno abbassato l’età del pensionamento dei magistrati. Le sue sollecitazioni al governo non ricevettero alcuna risposta e Giannini prese atto che era il caso di farsi da parte. Non era mai accaduto prima.

APPALTI ROVENTI Risolto il nodo della casella più importante, a Palazzo Spada è atteso un giro di poltrone nelle diverse sezioni che riflettono la doppia natura, consultiva e giurisdizionale del Consiglio di Stato: un valzer peraltro già iniziato con l’avvicendamento di Sergio Santoro (come detto nella rosa dei cinque che ha visto però prevalere il curriculum di Pajno) alla presidenza della sesta sezione al posto del dimissionario Baccarini. Un riassetto complessivo  verrà definito a stretto giro dal neo presidente Pajno che determinerà, con decreto, la funzione di ciascuna delle sezioni (consultiva o giurisdizionale), ma soprattutto il riparto degli affari da assegnare e cioè le materie di competenza.  Prima ci sarà il suo insediamento formale previsto fra poco più di un mese alla presenza delle più alte cariche dello Stato. E sono in molti a scommettere che già in quell’occasione si comincerà a delineare il quadro della riorganizzazione della giustizia amministrativa in particolare per quel che riguarda la supervisione sulla delicata materia degli appalti.

ALLA CARICA Intanto il presidente ha già scelto il suo uomo macchina e cioè il nuovo segretario generale del Consiglio di Stato: si tratta di Mario Torsello, un curriculum che non lascia spazio all’immaginazione. Tra i tantissimi incarichi quello di consigliere giuridico alla Presidenza del consiglio durante i Governi Amato e Ciampi, di capo dipartimento a Palazzo Chigi durante i governi Prodi  e D’Alema; capo del legislativo del ministro dei Beni Culturali durante i due governi Berlusconi inframezzati dal suo incarico di capo di gabinetto al ministero per i rapporti con il Parlamento durante il governo Prodi II. Da ultimo è stato capo di gabinetto del ministro dello Sviluppo e delle infrastrutture Corrado Passera durante il governo Monti. Molto attesa è anche la nomina, da parte del Consiglio di presidenza, della figura del presidente aggiunto, una sorte di vice: anche qui la scelta sarà significativa della volontà di trovare (o meno) una corrispondenza al nuovo corso imposto dall’esecutivo Renzi.

ARRIVANO I NOSTRI Infine sono attesi i rinforzi, sempre da Palazzo Chigi, che dovrebbe a breve nominare una decina di profili per rimpinguare l’organico delle sezioni consultive, ma anche di quelle giurisdizionali del Consiglio di Stato. Un organico che, come aveva facilmente previsto l’ex presidente Giovannini, è davvero ridotto al lumicino: attualmente sono in carica al Consiglio di Stato 18 presidenti di sezione e 38 consiglieri in tutto rispetto ad un organico complessivo che normalmente si assesta a quota 105 tra presidenti e consiglieri. Per i concorsi, con cui per legge si può coprire un quarto dei posti vacanti, ci vorrà tempo, forse un anno o più. Escluso che un apporto massiccio possa venire dei tar (anch’essi pesantemente sotto organico), l’unica strada ormai rimasta è un’infornata da parte del governo che potrà nominare professori universitari o avvocati ma anche, c’è da scommetterlo, dirigenti generali dei ministeri, degli organi costituzionali e delle altre amministrazioni pubbliche.

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