Da Brokelandsheia, paese norvegese 200 chilometri a sud di Oslo, la notizia sta lentamente facendo il giro del mondo. Giovedì scorso una Tesla Model S ha preso fuoco mentre era collegata alla colonnina di ricarica rapida Supercharger. Non c’erano persone a bordo e nessuno si è fatto male, ma il sito Nrk riporta che i vigili del fuoco hanno avuto difficoltà a domare l’incendio a causa dell’alta infiammabilità del litio contenuto nelle batterie e dell’impossibilità di usare l’acqua con le elettriche. I pompieri hanno tenuto sotto controllo le fiamme con speciali schiume, ma l’auto è stata completamente consumata e la stazione di ricarica è inutilizzabile.

La Tesla ha dichiarato che condurrà approfondite ricerche e ne condividerà al più preso i risultati. Intanto l’associazione norvegese dei veicoli elettrici Norsk Elbilforeningla Norvegia è il Paese più “elettrificato” d’Europa – calma le acque ricordando che l’eventualità di un incendio è rarissima e che lo scorso anno sono state effettuate senza problemi “milioni di ricariche rapide”. In realtà, però, l’incidente norvegese risveglia un brutto ricordo.

Nel novembre del 2013, l’ente per la sicurezza americano Nhtsa aveva aperto un’inchiesta sulla Model S dopo aver accertato che dietro diversi incendi c’era il danneggiamento del pacco di batterie agli ioni di litio, che trovandosi sotto l’auto era esposto agli urti. “Purtroppo questi incidenti hanno ricevuto più titoli nazionali rispetto agli altri 200.000 incendi di auto a benzina avvenuti lo scorso anno solo in Nord America”, notava polemicamente il fondatore Elon Musk quando a marzo 2014 l’inchiesta si era chiusa con l’impegno di Tesla ad alzare leggermente l’altezza dal suolo e a installare uno scudo protettivo sotto la scocca.

Foto in alto da Instagram @electricride; foto in basso da www.nrk.no, Elisabeth Grosvold.

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