Eni abbandona il Paese”. I sindacati non usano mezzi termini per contestare il piano di riassetto del Cane a sei zampe. I lavoratori temono il disimpegno dell’azienda dal settore della chimica e della raffinazione, che ha il suo epicentro in Italia: Eni si appresta a cedere parte delle sue quote in Versalis, la società addetta a queste attività, che occupa oltre 4mila dipendenti nel nostro Paese. Così, il 5 dicembre, a Roma si è tenuta l’assemblea nazionale dei quadri e delegati della chimica di Cgil, Cisl e Uil all’interno del gruppo Eni e della società Saipem. Presenti anche i segretari generali Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. I lavoratori hanno indetto mobilitazioni contro le decisioni dell’azienda: il 17 dicembre ci sarà una manifestazione nazionale a San Donato Milanese mentre il 20 gennaio si terranno otto ore di sciopero in tutti gli insediamenti italiani Eni e Saipem.

“Non siamo di fronte a un normale riassetto di una grande azienda, – si legge nel comunicato diramato dalle sigle Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil – ma allo smantellamento della chimica italiana e ad una accelerazione del processo di trasformazione dell’Eni che vede le sue attività tutte concentrate fuori dall’Italia”. Così i sindacati hanno anche scritto al premier Matteo Renzi, chiedendo che il governo “faccia chiarezza” sulla situazione. I lavoratori sono in fibrillazione ormai da ottobre: due mesi fa, infatti, l’amministratore delegato Claudio Descalzi ha segnato la direzione: “Stiamo cercando una joint venture per valorizzare il business di Versalis”. Pochi giorni dopo, il manager ha confermato l’orientamento dell’azienda ai sindacati. Che hanno subito manifestato le proprie preoccupazioni.

Versalis è la società Eni attiva nel campo della chimica: in Italia ha otto siti produttivi con circa 4.400 dipendenti, mentre all’estero conta cinque impianti e circa mille lavoratori. Il cuore di queste attività, dunque, batte nel nostro Paese. Ma secondo i sindacati, “obiettivo dell’Eni è quello di concentrare le sue attività solo su esplorazione ed estrazione di gas e petrolio”, svolte all’estero, mentre la cessione di parte di Versalis “comporterà un ulteriore, radicale disimpegno dell’Eni dall’Italia, (…) insieme al rischio della scomparsa di due settori importanti per l’Eni e per l’industria di questo paese: la chimica e la raffinazione”.

Secondo indiscrezioni di stampa, Eni sta trattando per la cessione di quote fino al 70% di Versalis al fondo americano Sk Capital.In pericolo, secondo le sigle sindacali, sono gli investimenti promessi dal Cane a sei zampe. Si parla di 1,2 miliardi di euro di investimenti, previsti dal piano industriale di Versalis 2015-18, cui si aggiungono altri 400 milioni stanziati nel 2012. I principali interventi erano previsti negli stabilimenti di Porto Marghera (Venezia), Porto Torres (Sassari) e Priolo (Palermo). Oltre al piano di riconversione per l’impianto petrolchimico di Gela (Agrigento). Ma i sindacati temono un disimpegno in questo senso: “Il riassetto di Versalis e la ‘riscoperta’ della chimica tradizionale comporteranno l’abbandono della “chimica verde” e dunque degli interventi previsti a Porto Torres e Marghera, oltre a mettere sostanzialmente in discussione la credibilità dell’accordo su Gela”.

“La strategia di Eni sulla chimica è sempre stata quella di attuare un piano di ristrutturazione in grado di riportarla nel breve termine ad avere risultati positivi – fa sapere il portavoce di Eni – Siamo nella fase in cui stiamo cercando per Versalis un partner specializzato nella chimica, un compagno di viaggio che possa garantire gli investimenti, lo sviluppo della chimica in Italia e i livelli occupazionali”. Ma le rassicurazioni non bastano a tranquillizzare i lavoratori. Anche perché Versalis non è l’unica società del gruppo dove si registra un passo indietro di Eni. Nel 2012 il gruppo ha venduto alla Cassa depositi e prestiti il 30% di Snam, che si occupa di stoccaggio, trasporto e distribuzione di gas. A ottobre 2015, il gruppo ha ufficializzato la cessione del 12,5% di Saipem, la società che costruisce oleodotti, gasdotti, piattaforme petrolifere, al Fondo strategico italiano, controllato ancora dalla Cdp.

Da mesi, poi, sui media si rincorrono le voci di uno scorporo della divisione Gas&Power, che si occupa della vendita di gas ed energia elettrica, anche in questo caso attraverso le cessione una quota di minoranza. Stesso discorso: i sindacati temono che un disimpegno di Eni possa avere conseguenze negative in termini di posti di lavoro: “Abbandonare alcune attività di Saipem o la vendita del gas per usi civili e commerciali vuol dire determinare gravi problemi occupazionali, perdere contatto con il corpo vivo del Paese e non coglierne per intero il valore industriale e sociale”.

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