Governare le periferie: io provocatoriamente dico che l’Isis è la periferia di Roma. Nessuno ha colto il segnale arrivato dalle banlieue francesi, i governi non hanno colto questa sfida”. Così Fabrizio Battistelli, docente dell’Università della Sapienza, presenta i risultati di una ricerca sul rapporto immigrati e residenti effettuata nel quartiere Tor Sapienza, dopo gli scontri avvenuti lo scorso anno al centro di prima accoglienza di viale Giorgio Morandi. Degli attentati di Parigi colpisce molto il profilo dei terroristi, cittadini francesi e belgi, occidentalizzati nello stile, ma poco integrati nel tessuto sociale. “La matrice religiosa è importante, senza di quella non scatterebbe la molla per atti così terribili. Ma le motivazioni trovano terreno fertile nella marginalità sociale”, spiega la dottoressa Maria Grazia Galantino. “Il disagio sociale è la miccia che scatena tutto quello che stiamo vivendo, la polizia sotto la metro ci può far sentire sicuri. Ma cosa accade nelle nostre periferie? Chiudiamo le frontiere, guardiamo all’Isis ma non sappiamo come vive il nostro vicino di casa, non ci occupiamo del suo disagio”, sostiene la ricercatrice Francesca Farruggia. Ed è l’integrazione la vera arma per affrontare la minaccia interna del terrorismo secondo i sociologi. “Oggi non c’è un rischio banlieue in Italia, ma dobbiamo evitarlo per il futuro con la formazione, il diritto all’abitare e quello alla scuola, aggiunge Battistelli. La ricerca a Tor Sapienza mostra come attraverso il dialogo e il confronto anche “i conflittualisti” possono cambiare idea e proporre soluzione ragionevoli. “In una giornata 21 giudici, selezionati in base ai sondaggi effettuati in precedenza, hanno avuto la possibilità di dialogare sul tema e molti hanno cambiato opinione, arrivando a cinque soluzione votate all’unanimità”, racconta ancora Battistelli. “C’è un ignoranza sul tema, come sulla storia dei 35 euro che in realtà non arrivano nelle tasche degli immigrati”, aggiunge Farruggia. “Perché però aprire dei centri d’accoglienza nelle periferie, dove il disagio è già evidente? Perché non si effettua un’equa distribuzione nel territorio? Scelte condivise e discusse riducono le possibilità di scontro”, concludono i ricercatori

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