“Sono un perseguitato dallo Stato. Che mi ha lasciato senza la scorta perché non sarei in imminente pericolo di vita”. Dietro queste parole l’amarezza di don Luigi Merola, prete anticamorra ed ex parroco di Forcella (Napoli), che la sera del 24 ottobre è stato protagonista di un episodio inquietante avvenuto mentre rientrava a casa, a Marano, dopo aver partecipato alla Notte Bianca della legalità, nell’ambito del quale era intervenuto in un dibattito alla libreria Mondadori del quartiere Vomero. Il prete ha denunciato di essere stato avvicinato da un’auto con a bordo due uomini che, con fare minaccioso, gli hanno chiesto di fermarsi. Dopo i primi istanti di sconcerto, il sacerdote è riuscito a fuggire. Ora se la prende con le istituzioni che, a suo dire, lo hanno abbandonato: “Ho trovato il coraggio di denunciare questo episodio perché è stato ripreso tutto dalle telecamere, quindi nessuno può dire che ho inventato tutto”.

Il racconto del prete anticamorra – Cosa è accaduto al rientro della Notte Bianca? “Ero solo a bordo del mio scooter – racconta il sacerdote a ilfattoquotidiano.it – e due ragazzi mi hanno seguito in auto, si sono affiancati e, con un tono minaccioso, mi hanno chiesto di fermarmi. In un primo momento sono rimasto quasi impietrito, poi ho visto che uno dei due stava scendendo e sono fuggito”. L’episodio è avvenuto a pochi passi dalla caserma dei carabinieri, dove don Merola ha trovato rifugio. Dopo aver ascoltato il racconto del prete e raccolto la sua denuncia, i militari lo hanno riaccompagnato a casa. La scena è stata ripresa dalle telecamere presenti in zona. Questi i fatti narrati dal parroco, che ora ne ha per tutti: “Sono stanco di essere additato come il parroco che cerca la ribalta sui media. Se non ci fossero state le telecamere non so se avrei denunciato ciò che mi era accaduto”. Don Merola divenne il simbolo della lotta alla camorra quando accusò pubblicamente i clan di Forcella, dopo la morte di Annalisa Durante, la 14enne uccisa per errore il 27 marzo 2004. Oggi critica la scelta di togliergli la scorta, che non ha più da settembre scorso. “Dopo una decina di anni di intensa attività – racconta – i miei rapporti con la Procura si sono incrinati fino ad arrivare alla revoca della protezione. È accaduto a causa di alcune dichiarazioni che ho reso e che sono state mal interpretate”.

Le minacce agli educatori – “Non è la prima volta che ricevo intimidazioni per la mia attività”, dice il prete. L’ultimo episodio risalirebbe a pochi giorni fa. “Due ragazzi che lavorano con me alla Fondazione sono stati minacciati da una donna appena uscita dal carcere – spiega – la quale non voleva assolutamente che il figlio stesse con noi in una delle strutture sottratte alla camorra che gestiamo. Il figlio doveva fare il camorrista. Questo episodio non è stato denunciato, ma uno dei due educatori ha rinunciato al servizio civile. Nelle prossime ore ho intenzione di denunciare l’accaduto alle autorità”.

L’attività dopo l’allontanamento da Forcella Don Luigi Merola è da sempre in prima linea nella lotta alla camorra. Dopo il suo allontanamento dal quartiere Forcella di Napoli, il sacerdote si era dedicato all’insegnamento – è docente di religione nella scuola media Fava-Gioia di salita San Raffaele, al rione Sanità – e all’attività svolta con la FondazioneA Voce d’è creature all’Arenaccia‘. Proprio in quest’ambito gestisce alcune strutture confiscate alla camorra. Si tratta della villa chiamata ‘Bambù‘ dove aveva vissuto insieme alla famiglia il re dei videopoker Raffaele Brancaccio, luogotenente del capoclan Edoardo Contini, con all’interno un autentico zoo di animali esotici. Poi c’è la villa confiscata al clan dei Cesarano all’estrema periferia di Pompei per la quale solo nei giorni scorsi si è raggiunto un accordo con l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Nando Uliano. Fino allo scorso anno il Comune ha sempre elargito un contributo di 8mila euro alla Fondazione. Infine ci sono i terreni che si trovano a Marano confiscati ai titolari della Sime costruzioni, gli imprenditori edili finiti agli arresti nell’ottobre del 2013 poiché ritenuti affiliati al clan Polverino, gestiti dal Consorzio Sole.

L’amarezza per l’abbandono delle istituzioni – “Oggi non ho più la scorta – dice don Merola – ma posso avere protezione se mi devo spostare, avvisando la Procura il giorno prima. Non serve a nulla questa opzione, se poi possono farmi fuori tutti i giorni”. Le cose sono evidentemente cambiate rispetto a qualche anno fa. “Eppure io non sono andato in pensione – spiega – e continuo nella mia attività, tanto che gestisco tre beni confiscati alla Camorra, tolgo i bambini dalla strada e sono obiettivamente in prima linea nella lotta ai clan. Ecco perché provo amarezza, non tanto per le intimidazioni della camorra, quanto per l’abbandono dello Stato che, se mi chiede di combattere contro i clan, dovrebbe anche sostenermi in questa battaglia”.

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