Violazioni di legge, norme in contrasto con i principi della Costituzione e perfino con le disposizioni del diritto comunitario. Una lunga serie di addebiti per smontare, pezzo per pezzo, il discusso decreto che ridisegna la governance delle banche popolari, fortemente voluto dal governo di Matteo Renzi. Un provvedimento sul quale pende il ricorso di Adusbef, Federconsumatori e di dodici azionisti della Banca Popolare di Milano (BPM), che ne chiedono l’annullamento, presentato contro la Banca d’Italia, il ministero dell’Economia e la Presidenza del Consiglio dei ministri dinanzi al Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio. Che già stamattina potrebbe pronunciarsi sull’istanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia europea. Organi giurisdizionali ai quali spetterà la decisione di merito sulle istanze dei consumatori e degli azionisti di Bpm qualora i giudici del Tar dovessero ritenerle ammissibili.

COSTITUZIONE VIOLATA – Ma su cosa si fondano le obiezioni dei ricorrenti? Tra le misure più discusse della nuova disciplina introdotta dal decreto del governo, convertito in legge con la fiducia del Parlamento a marzo di quest’anno, c’è l’obbligo di trasformazione delle banche popolari, caratterizzate storicamente dal preminente scopo mutualistico della loro mission, da cooperative in società per azioni qualora l’attivo dovesse superare gli 8 miliardi di euro. Una soglia contestata nel ricorso per violazione degli articoli 41 e 45 della Costituzione. Il primo, tutelando la libertà di iniziativa economica privata, non può che implicare – è la tesi del ricorsola facoltà per l’impresa di organizzare la propria attività nelle forme ritenute più idonee al perseguimento degli obiettivi statutari. Il secondo, riconoscendo “la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”, stabilisce che “la legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”. Dal combinato disposto dei due articoli della Costituzione, sostengono i ricorrenti, si deve dedurre il divieto al legislatore di comprimere l’attività cooperativa tramite l’imposizione di limiti, riferiti tanto all’ambito di attività in cui la cooperazione può operare, quanto alle dimensioni che la cooperazione può assumere. Come nel caso della soglia degli 8 miliardi, giudicata “arbitraria” e “irragionevole”, non essendo supportata da elementi concreti che dimostrino la sua congruità e proporzione rispetto agli obiettivi perseguiti dal decreto del governo.

DELEGA IN BIANCO – Il decreto del governo affida, inoltre, alla Banca d’Italia il compito di dettare le relative disposizioni attuative. Innescando, secondo i ricorrenti, ulteriori profili d’incostituzionalità. A cominciare dal potere conferito alla banca centrale di limitare il diritto dei soci della banca popolare al rimborso delle azioni nel caso di recesso, qualora sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Una vera e propria delega in bianco – accusano Adusbef, Federconsumatori e gli azionisti di BPM – in favore di Palazzo Koch, dal momento che il legislatore non ha previsto alcun criterio direttivo del potere regolamentare affidato a Bankitalia, disponendo per di più che tale potere possa essere esercitato “anche in deroga a norme di legge”. Non solo. L’intera disciplina introdotta dal decreto e attuata tramite circolare dalla Banca d’Italia è, secondo i ricorrenti, in aperto contrasto con le libertà ed i diritti fondamentali garantiti dai Trattati dell’Unione Europea e dalla Carta europea dei diritti fondamentali. Di qui l’istanza di rimessione, oltre che dinanzi alla Corte Costituzionale anche alla Corte di Giustizia Europea. Ma anche sul piano formale i rilievi non mancano. A partire dalla scelta del governo di introdurre la riforma delle banche popolari con decreto legge. Uno strumento eccezionale che, a norma dell’articolo 77 della Costituzione, richiede i presupposti di necessità e urgenza. Presupposti – sostiene il ricorso – del tutto carenti dal momento che, trattandosi di una vera e propria riforma di sistema, sarebbe stata necessaria un’adeguata discussione parlamentare incompatibile con i tempi contingentati della procedura di conversione del decreto legge.

FONDI IN AGGUATO – La riforma delle banche popolari, in realtà, è già all’esame della Corte Costituzionale. Per effetto del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato dalla Regione Lombardia. “La materia delle banche popolari, a norma dell’articolo 117 della Costituzione, rientra tra quelle della legislazione concorrente Stato-Regioni, ma avendo il governo agito per decreto senza consultare nessuno, la Lombardia ha deciso di sollevare il conflitto dinanzi alla Consulta. Noi, quindi, chiediamo al Tar di poterci aggregare ad un giudizio già esistente, proponendo ulteriori rilievi e profili di incostituzionalità”, spiega l’avvocato Lucio Golino che, insieme al professor Federico Tedeschini, ha curato il ricorso per conto di Adusbef, Federconsumatori e dei dodici azionisti di BPM. “La questione, del resto, è delicata – prosegue Golino –. Quando il premier Renzi è stato negli Usa, la stampa ha parlato del suo incontro con Obama ma ha taciuto sulla sua visita al fondo di investimento statunitense BlackRock che sta incrementando la sua partecipazione al capitale sociale di diverse banche popolari. Credo sia legittimo chiedersi, anche alla luce del decreto che abbiamo impugnato, di cosa abbiano parlato”. Ora la parola spetta al Tar: se accogliesse le istanze dei ricorrenti, per dare modo alla Corte Costituzionale di pronunciarsi, dovrebbe anche sospendere l’efficacia del regolamento attuativo del decreto. “In questo modo i 18 mesi stabiliti per la trasformazione delle popolari in società per azioni si bloccherebbero e riprenderebbero a decorrere solo quando la Corte Costituzionale avesse deciso, eventualmente, di rigettare le nostre istanze”, conclude Golino. E almeno un punto il ricorso lo avrebbe comunque segnato: rallentare la metamorfosi di cooperative mutualistiche in spa votate al profitto.

Twitter: @Antonio_Pitoni

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