Nel perdurante, inqualificabile, costume della compravendita a cielo aperto di voti parlamentari, possiamo individuare il vero tratto connotativo della vita pubblica tanto della Seconda come della Terza Repubblica; di cui gli “uomini di mano” (i reclutatori solo chiacchiere e sfrontatezza) alla Denis Verdini o Valter Lavitola e gli “inguardabili reclutati” (i senatori-pacco, disposti in bellavista sugli scranni della Camera Alta), i Sergio De Gregorio o i Lucio Barani – che siano perseguibili legalmente o no – sono l’aspetto biecamente folcloristico.

Sia gli uni che gli altri svolgono soltanto un ruolo di comparse nell’orrida coreografia che sancisce l’avvenuta trasformazione della politica in qualcosa di profondamente diverso: una competizione notturna, per bande e senza esclusione di colpi, avente come obiettivo quello di incamerare vantaggi personali e di gruppo. Oltre che rafforzare la presa di tale gioco sulla pubblica opinione più inconsapevole, offrendo rassicurazioni favolistiche – il sempreverde mito dell’uomo forte al comando – per chi ha l’esigenza psicologica di bersele. Ma sempre nel tacito accordo tra competitori di non stravolgere il campo di gioco, guardandosi bene dal lasciar filtrare un po’ di luce che ne potrebbe illuminare i lati bui; smascherando la mendacia dell’intero apparato comunicativo in cui ci si mimetizza e – di conseguenza – mettendo a repentaglio i vantaggi posizionali dell’intera corporazione (che configge sulla ripartizione dei benefici ma sempre conservando un premio di consolazione per i perdenti; premio inteso come un posticino negli organigrammi pubblici).

È stato così con Silvio Berlusconi, continua a esserlo con Matteo Renzi: capi branco senz’altra identità eccetto il proprio delirio d’onnipotenza, circondati da corti di beneficiati intenti a salmodiare le loro lodi, e per questo intimamente convinti loro stessi della propria insindacabile eccezionalità; strutturalmente impossibilitati al dialogo democratico e – dunque – iper-cinici opportunisti al punto di adottare qualunque mezzo pur di raggiungere i fini attesi. Miserevoli. Del resto, se Niccolò Machiavelli sentenziava che “il fine giustifica i mezzi”, Albert Camus gli ha seccamente risposto: “E chi giustificherà i fini?”.

In questo contesto risulta più che comprensibile l’insofferenza crescente per le tradizionali categorie della politica in cui le bande di occupazione vorrebbero calare i propri comportamenti, simulandone un’inesistente dignità. Per questo le organizzazioni propugnatrici di AltraPolitica AntiCasta rinunciano sovente a definirsi in termini di destra e sinistra, preferendo concettualizzarsi secondo altri schemi mentali: dentro/fuori, establishment/anti-establishment. Questioni lessicali, basta intendersi. Un po’ diverso – sempre nel fronte dell’indignazione – quanto pretendono le nuove leve post-politiche, convinte di intercettare maggiori consensi teorizzando l’indistinto: gli sproloqui su presunte “modernità” che oltrepassano gli schieramenti antagonisti (destra-sinistra). In realtà pura e semplice incultura politica: l’alibi di neofiti illusi di essere nati “imparati”; nell’ignoranza che l’azzeramento delle distinzioni è anch’esso una vecchia tattica mimetica – seppure di ripiego – dei padroni del pensiero (soprattutto i potentati economici); allo scopo di esorcizzare il conflitto.

Il combinato tra reazionari furboni e improvvisati pretenziosi produce il depotenziamento dell’armamentario intellettuale che consentiva di progettare alleanze tra interessi diversi ma non divergenti, fungendo da bussola nel mare magno delle trasformazioni; quei blocchi sociali, unificati dall’individuazione di affinità e convergenze, che favorirebbero strategie di cambiamento (o di contrasto delle contrapposte operazioni restaurative).

Fermo restando che – a ben vedere – il discredito del posizionamento a sinistra (lo stare dalla parte dell’inclusione sociale all’insegna della Giustizia e della Libertà) non colpisce principi di universale valenza e relativi filoni di pensiero, quanto l’uso distorto che ne viene fatto da alcuni decenni ad opera di spregiudicati carrieristi politici. Di converso, il modernariato naif che predica il superamento delle categorie analitiche produce tattiche a casaccio; quindi inabili a torcere un pelo alla reazione controriformista, che di questi tempi può tranquillamente imbastire due strategie parallele di occupazione della società: il mix renziano di blairismo prendi-per-i-fondelli e di paternalismo cattolico; il terrorismo degli sbandieratori-di-terrore-onirico (la paura delle mandrie di immigrati che invaderanno le nostre case; quella delle bande di comunisti redivivi che prosciugheranno con le tasse i tesoretti familiari). Sempre con il puntello malandrino dei Verdini, lodati dal premier spudorato in quanto “servizio reso all’Italia”.

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