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Pippo Civati, i referendum e la demagogia

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C’è una certa sinistra che sta consumando il suo fallimento nelle diatribe burocratiche, in sogni di aggregazioni improbabili con tanti leaderini che non vogliono cedere il passo, che ambiscono solo a egemonizzare, e non sono capaci che di scopiazzare tutti i fenomeni stranieri fin quando vanno di moda. E non ci provano neppure ad avere un’idea propria, né a meditare finalmente sul proprio passato e sui valori rovinosi di cui si sono fatti portatori acritici per alcuni decenni. Se poi qualcuno prende l’iniziativa su temi che stanno incombendo e che vanno distruggendo la nostra democrazia, come la riforma elettorale supermaggioritaria, la scuola e il paesaggio, diventano schifiltosi e si traggono da parte, non collaborano rosi da gelosie da politicanti. Dimostrano così che in fin fine di quei temi se ne fregano se non in termini di tattica polemica. Il paese, per loro, è irrilevante. E il paese lo sa e se lo ricorda in tutte le consultazioni.

Così, quando Civati, invece di farsi ingabbiare nel labirinto di vuote chiacchiere che interessano i pochissimi, ha promosso otto referendum essenziali, noi ci siamo subito accodati, ma noi non abbiamo interessi di Palazzo, giudichiamo sui fatti, non sui sogni palingenetici affidati alla ridicolaggine dell’Ingroia di turno. Vogliamo qui ed ora. Invece Ditte e Cose rosse e Combattenti per azioni sociali radicalissime si sono tirati indietro preferendo occupare i giornali, complici, su una diatriba per un particolare della riforma del Senato di puro spettacolo. E il cui risultato è stato sempre più che scontato: un eroico cedimento finale e l’oblio degli aspetti davvero più inquietanti di una sedicente riforma che giustamente è stata definita «una fetenzia» da un senatore pronto a votarla. Tralasciamo l’assenteismo di coloro, come i grillini, che ci invadono quotidianamente con la loro retorica delle consultazioni popolari, ma quando sono sollecitati a una concreta partecipazione disertano. Evidentemente in obbedienza dei due Capi, gestori della loro democrazia. La demagogia è meno complicata che portare la gente ai banchetti e parlarle di problemi istituzionali seri o della vita d’ogni giorno.

Ora mancano pochi giorni dalla fine della raccolta delle firme: firmare è un gesto di partecipazione civile e anche di protesta contro la destra delinquente, contro un leader dilettante con velleità autoritarie e contro una sinistra parolaia. Di tutto questo (e di altro) discutiamo sul nostro quindicinale online. Con una certa amarezza. [e. m.]

di Enzo Marzo

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