Il poderoso tedesco col nome francese André Greipel e un sorriso da bistrot vince la volata, un poco scombiccherata, di Valence: è la terza vittoria che colleziona a questo Tour. Ma non riconquista la maglia verde che resta saldamente sulle giovani spalle di Peter Sagan: “Diciamo che sono uno dei più veloci, ho tanta forza nelle gambe e oggi ho lavorato bene. Ho scelto il momento giusto per superare gli avversari”.

Batte il barbuto connazionale John Degenkolb e Alexander Kristoff. Sagan – quarto – teme di finire in Siberia, visto gli umori viscerali del suo boss, l’oligarca russo Oleg Tinkoff che sponsorizza la squadra capitanata da Alberto Contador. Ieri il banchiere russo che opera a Londra gli aveva scritto: “O vinci la tappa o gulag”. Oggi Tinkoff, che ha 47 anni – stesso numero di pettorale di Sagan – ha concesso due interviste esclusive. All’americana Nbc e al Journal de Dimanche. Detesta i giornalisti. Dice che la Francia gli sembra una prigione: “Sono cresciuto nell’Unione Sovietica, ma non ho mai visto tanti poliziotti come qui. Ci si sente in prigione. In, più sono zelanti”.

Caro Oleg, non è vero. Ho trovato da parte dei gendarmi francesi, gentilezza e professionalità. Certo, se uno si comporta come De Laurentiis, di cosa ci si può lamentare? L’arroganza non è il biglietto da visita migliore. Se uno scaglia la borraccia addosso al cameraman che filma il cambio della bici di Sagan – è successo oggi – mica si aspetta i complimenti dello stupefatto agente che ha seguito la scena dal bordo della strada…

Il sulfureo Tinkoff protesta perché al Tour non gli consentono di seguire la corsa lungo il percorso: si spieghi con l’accueil del Tour. Dice che è un incubo. Che l’atteggiamento delle forze dell’ordine francesi scoraggiano i cicloturisti: pure questa è una balla. Sulle grandi salite pirenaiche i cicloturisti salivano a grappoli: ovviamente almeno un’ora prima del passaggio della Carovana Pubblicitaria che precede i corridori di un’altra ora e mezza. E’ il bello di ogni tappa di montagna. La folla, gli appassionati che per qualche chilometro affrontano le stesse difficoltà dei campioni.

Tinkoff ama l’Italia e preferisce il Giro al Tour, però si affanna a ricordare, con scarsa signorilità, che possiede un appartamento con vista sulla torre Eiffel e uno chalet in Val Thorens. I tre figli parlano un francese impeccabile. cosa che a lui non riesce: la Francia, aggiunge, “è un Paese magnifico, ma certe persone, come i gendarmi, ne danno una cattiva immagine”. Come l’ex corridore Marc Madiot ora direttore sportivo della Française des Jeux che Tinkoff ha qualificato di “comunista” su Twitter. Il banchiere russo rincara la dose: “E’ socialista, come tutto il vostro Paese. Considera il Tour un pezzo del patrimonio nazionale, quando l’ASO, la società che l’organizza, guadagna 18 milioni d’euro netti l’anno…e poi non voglio polemizzare con chi utilizza denaro pubblico per far correre la sua squadra: la FDJ è o non è un’impresa statale? E’ dunque il mio denaro che spende, poiché pago delle tasse in Francia. Che investa i suoi quattrini e poi ne riparleremo”.

Gli oligarchi non si sono fatti strada nel mondo dei quattrini con i guanti, subito dopo il crollo dell’Urss i loro metodi sono stati spesso brutali. Tinkoff ha in testa di fare la guerra alla ASO, che gestisce Tour e Vuelta. Ha creato la Velon, una associazione che riunisce le squadre più importanti. Sostiene che è venuto il momento di condividere la torta, perché il denaro delle tv, dei partner commerciali e delle città sedi di tappa rappresentano una grossa cifra. Le squadre portano al Tour le stelle del ciclismo, ma in cambio non ricevono nulla. Così non può andare avanti. Le squadre hanno sempre più difficoltà a vivere coi soldi degli sponsor, “bisogna creare una lega professionistica per arbitrare la ripartizione”.

Tinkoff si ritiene un “vero capitalista”. Ha investito “per passione” (ogni anno pedala per 3mila chilometri). Vuole che l’investimento diventi vantaggioso. Nel caso della Tinkoff, il merchandising vale appena 2 milioni di Euro rispetto al bilancio complessivo della squadra che è di 27 milioni: “Per fare la rivoluzione le squadre devono unirsi. Se altri patron mi seguono, potremmo boicottare il Tour del 2016. Anche le squadre francesi dovrebbero seguirci per aumentare le loro risorse. Se no i loro corridori finiranno per andarsene all’estero, come Vuillermoz (AG2R)”.

A primavera, Tinkoff si lamentò di non avere il diritto di abbassare il salario di Sagan perché non vinceva: “I corridori vogliono firmare contratti validi almeno due o tre anni, appena firmano la loro motivazione svanisce. Non vincono però staccano lo stesso i loro assegni…L’Uci (l’unione internazionale del ciclismo) dice che i loro contratti non si devono toccare. Il sistema non è giusto. La soluzione sarebbe offrire un salario fisso e dei premi legati ai risultati, dei bonus cospicui per ogni vittoria. Per quel che riguarda Sagan, potrebbe diventare il nuovo Cannibale. Non gli sono mancati che pochi secondi, in cima al Mur-de-Brétagne per prendere la maglia gialla e fare tripletta con la verde e la bianca. Questo è show! Chi è riuscito a farlo, a parte Merckx?”.

Sembra d’ascoltare musica vecchia, quando i corridori – salvo i campioni – erano considerati forzati delle strade. Quelle di Valence non sembrano francesi, bensì spagnole, con anima caucasica (il dieci per cento della popolazione è armeno). La città è a misura umana, e forse lo spiccio Tinkoff non saprà apprezzarla, abituato alla sua vista miliardaria parigina. Noi ci accontentiamo della bellezza magari semplice e non sofisticata che ci accompagna lungo il Rodano, ancor più maestoso che a Lione. La Valence dove Napoleone ha studiato e vissuto (oggi c’è una brasserie e la piazzetta accanto ha la targa scritta in inglese (“square Napoleon”). La Valence disegnata da Raymond Peynet che ritrasse il chiosco musicale del Campo di Marte (ricordate il violinista che vi suona da solo e la spettatrice, pure lei solitaria, che lo ascolta, già invaghita più che del suono del violinista?). Ecco, “les amoureux” di Peynet sono nati qui, nel 1942. La guerra sventrava l’Europa, Peynet disegnava l’amore. Sarà piccola, ma anche questa è cultura, memoria. Sorriso.

A Valence la folla applaude il passaggio dell’auto di Gérard Holz come fosse il presidente della Repubblica, in parte ne condivide l’aura poiché il popolare giornalista sportivo Holz ha intervistato sabato François Hollande ed è il “volto” delle dirette di France Télévision. Non sazio, il poliedrico e simpatico Holz la sera interpreta Argante, nel “Malato immaginario” di Molière con la Compagnie de la Reine. Non è il Tour de France in fondo una estenuante pièce teatrale di ventun atti?

ps: Chris Froome, la maglia gialla, è ancora indignato per l’urina gettata in faccia. Ha ragione. Il gesto di quel mascalzone è vergognoso. Ha ricevuto solidarietà da tutti, anche dai social media: i corridori vogliono essere sicuri, ha detto Froome. Quanto ai sospetti sul doping, “non ce n’è ragione”, ha tagliato secco. E su Lance Arsmtrong, ha replicato secco: “E’ inutile ascoltare ex corridori che non c’entrano più nulla con il ciclismo agonistico”. Ha elogiato il lavoro della squadra, i suoi compagni lo proteggono dalle insidie del vento e del percorso, specie nelle curve più brutte. Non lo tranquilizza molto il vantaggio che ha su Nairo Quintana, “ci sono ancora cinque vere tappe prima di arrivare a Parigi”. Dove vuole arrivare in giallo.

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