Il Piemonte è in bilico. I consiglieri regionali si sentono come all’ultimo giorno di scuola. Tra oggi, 9 luglio, e domani i giudici del Tar potrebbero annullare le elezioni del 2014 che portarono Sergio Chiamparino alla guida della Regione. Lui ha affermato che si dimetterà se lo stallo dovesse continuare, ma intanto porta avanti le attività della giunta regionale e nelle retrovie prepara la sua ricandidatura. Da più parti invece arrivano inviti a lasciare: glielo chiede il suo predecessore Roberto Cota, l’ex governatore leghista che ha dovuto abbandonare la legislatura con un anno di anticipo per le sentenze della giustizia amministrativa, e glielo chiedono anche gli eletti del Movimento 5 Stelle.

Nelle scorse settimane i magistrati del Tar hanno ricevuto dalla procura di Torino copie dei moduli con le firme a sostegno delle liste elettorali pro-Chiamparino: la lista regionale Chiamparino Presidente, la lista provinciale del Pd e quella Chiamparino per il Piemonte. Quelle copie sono state messe a disposizione dei legali e così a fine giugno l’avvocato Alberto Caretta, che ha curato il ricorso dell’ex consigliere provinciale leghista Patrizia Borgarello, ha depositato una memoria in cui si dimostrerebbe la presenza di molte più firme false di quelle ipotizzate un anno fa, quando è cominciata questa vicenda giudiziaria. Sarebbero circa 984 le sottoscrizioni non valide a sostegno del “listino del presidente” e, una volta eliminate, ne rimarrebbero circa 1.300 valide, un numero inferiore alle 1.750 necessarie. Quindi – secondo i ricorrenti – non ci sarebbero abbastanza firme buone per presentare le candidature del listino principale e così cadrebbero i presupposti per la correttezza dell’elezione. Per il professore Vittorio Barosio, che difende Chiamparino, non è così: se ci sono delle firme false sono troppo poche per consentire un annullamento dell’elezione.

Nell’udienza di oggi i giudici, presieduti da Lanfranco Balucani, possono entrare nel merito della questione. Potrebbero farlo in modo relativamente rapido con la “prova di resistenza”: copie dei moduli alla mano, i magistrati potrebbero conteggiare le firme, eliminare quelle false, quantificare quelle valide e vedere se le liste pro Chiamparino restano valide o no. Potrebbero quindi annullare l’elezione spingendo verso nuove elezioni; annullare alcune liste non più valide e di conseguenza adeguare il numero dei consiglieri eletti oppure respingere il ricorso. In alternativa potrebbero anche rinviare la decisione a un’altra udienza in attesa che un altro procedimento – civile o penale – stabilisca l’autenticità delle firme. Proprio dal punto di vista penale prosegue l’inchiesta della procura di Torino (pm Patrizia Caputo e Stefano Demontis) che, dopo aver ricevuto al perizia grafologica, indaga su 13  persone, quasi tutti eletti locali o componenti della segreteria del Partito democratico. I pm vogliono capire chi ha falsificato le firme e le autentiche e presto potrebbero partire nuovi avvisi di garanzia, mentre alcuni indagati potrebbero essere prosciolti.

Al momento la colpa sembra essere tutta interna al Pd, capace di mettersi in difficoltà con le proprie mani, motivo per cui Chiamparino – si apprende dal suo staff – è arrabbiato e deluso proprio dal suo partito. Il governatore ha annunciato che se l’incertezza dovesse continuare lui si dimetterà per andare a nuove elezioni, mentre se il voto dovesse essere annullato dai giudici “ripensare alla ricandidatura sarebbe più difficile”, sostengono nello staff. Secondo Cota “la vicenda delle firme per il Pd e per Chiamparino è politicamente insostenibile”, motivo per cui chiede al suo successore di dare subito le dimissioni. Per il M5s il presidente non è “senza macchia”, nel pasticcio delle firme avrebbe le stesse responsabilità del segretario regionale Pd Davide Gariglio e di quello provinciale Fabrizio Morri e lui non poteva non sapere cosa stava accadendo, motivo per cui “si deve dimettere e non ripresentarsi più”.

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