“Ero solo uscito a fare due passi, ma alla fine decisi di restare fuori fino al tramonto, perché uscire, come avevo scoperto, in realtà voleva dire entrare.” (John Muir). Con questa citazione inizia uno dei più bei libri di questi ultimi anni, Luoghi selvaggi di Robert Macfarlane.
Macfarlane insegna e vive a Cambridge, “una delle regioni più intensivamente coltivate e densamente popolata del mondo”, ma la sua vita fuori dalle mura, è essenzialmente dedicata al rapporto con la natura. Alcuni anni fa egli decise di redigere una piccola mappa di luoghi rimasti selvaggi in Gran Bretagna ed Irlanda, tutti diversi tra loro per caratteristiche naturali, e di visitarli, da solo o con un amico fidato. Ne è venuto fuori questo libro, il cui sottotitolo è infatti In viaggio a piedi tra isole, vette, brughiere e foreste. Un libro affascinante, in cui l’autore descrive con dovizia di particolari questi luoghi intatti e ci trasmette le sensazioni che ha provato a visitarli.
Macfarlane, consapevolmente, si situa nella tradizione dei grandi scopritori della wilderness, come appunto John Muir, ma anche Henry David Thoreau. Anche se scoprire la wilderness nell’America del 1800 è cosa ben diversa di scoprirla nella Gran Bretagna e nell’Irlanda del duemila, dove quasi tutta la natura è stata per così dire “umanizzata”. Ma Macfarlane è anche conscio di un’altra grande verità, e cioè che se la natura selvaggia ed incontaminata è sempre meno e lontana da noi, è altresì indubitabile che se impariamo a guardarci intorno ci accorgeremo che la natura selvaggia, seppure in piccolo, ma dappertutto ci circonda. Dobbiamo imparare a guardarci intorno, a respirare la natura intorno a noi. Dovunque essa sia.
Luoghi selvaggi è un libro di viaggi, ma non per fuggire bensì per ritrovare se stessi.