Quarant’anni non sono bastati per arrivare alla verità. Il Parlamento potrebbe riuscirci? Dopo il “sì” del Gip, Maria Agrimi, all’archiviazione delle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini, il caso si sposta a Montecitorio. Dove alcuni deputati di Sinistra ecologia libertà (Sel), sostenuti dallavvocato Stefano Maccioni, legale di un familiare dello scrittore, hanno depositato una proposta di legge (prima firmataria  Serena Pellegrino) per l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta. Per cercare la verità e fare luce sui punti ancora oscuri legati all’omicidio del poeta-regista.

AGGUATO AL POETA Un aspetto ancora misterioso della vicenda, dal quale potrebbe partire l’indagine parlamentare, spunta dalla contro-inchiesta, svolta parallelamente a quella giudiziaria del tempo, pubblicata da Oriana Fallaci su L’Europeo. Un testimone aveva riferito alla giornalista del contenuto di una telefonata da lui ascoltata il 30 ottobre 1975, prima dell’omicidio, in un bar dei portici della stazione Termini, nella quale una persona affermava: «Mi raccomando ho un appuntamento con Pasolini, fatevi trovare lì». Il testimone, un barista, rintracciato dagli inquirenti, ha confermato il contenuto di quell’articolo ma, secondo quanto riferito nella richiesta di archiviazione, non è stato in grado di confermare se la persona al telefono fosse Giuseppe Pelosi, l’unico condannato per l’omicidio dell’artista. E’ questo un elemento fondamentale dell’inchiesta che potrebbe riscrivere la versione ufficiale, confermata in tutti i gradi di giudizio (ad eccezione del primo), secondo la quale Pelosi incontrò Pasolini da solo per motivi sessuali. Diversamente, la presenza di altre persone all’Idroscalo di Ostia, se provata anche sulla base della telefonata raccontata dalla Fallaci, darebbe al delitto i tratti di un agguato.

MISTERO SALO’ Una delle piste investigative seguite dagli inquirenti nell’inchiesta è quella del furto, avvenuto nell’estate 1975, delle bobine del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, finito di girare da Pasolini poco prima di essere ammazzato. Pista importante perché, secondo alcuni filoni di indagine, l’omicidio potrebbe essere collegato proprio alla restituzione del materiale rubato. Gli investigatori sono riusciti a individuare l’intermediario che, secondo il regista Sergio Citti, collaboratore e amico di Pasolini, avrebbe messo in contatto lo scrittore e un gruppo di persone che avevano effettuato il furto. Questo intermediario, indicato da Citti come Sergio P., ha ammesso di aver parlato con lui del recupero dei negativi, senza però fornire altri elementi sugli autori del furto e sulle altre persone coinvolte. Approfondire questi aspetti del giallo potrebbe riservare importanti sviluppi.

DOPPIA ALFA Uno degli elementi investigativi più interessanti emersi dalle nuove indagini avviate nel 2010 dalla Procura, è stata la testimonianza di un ex ragazzo di borgata, ora pittore, Silvio Parrello. Il quale ha riferito alla procura le confìdenze ricevute da alcuni conoscenti. Gli inquirenti sono risaliti a queste persone che, stando a Parrello, sapevano della presenza all’Idroscalo, la notte fra il 1 e il 2 novembre 1975, di un enigmatico personaggio: Antonio Pinna, giunto sul posto con un’Alfa Gt 2000 identica a quella di Pasolini. Ma Pinna era scomparso nel febbraio del 1976 e nel 1988 il Tribunale civile di Roma ne aveva decretato la «morte presunta». Pinna non era un personaggio qualunque: meccanico di professione nel quartiere Donna Olimpia, era al soldo di Jacques Berenguer, il marsigliese ritenuto fondatore dell’omonimo clan che imperversò nella capitale negli anni Settanta. Nella richiesta di archiviazione dei pm Pierfilippo Laviani e Francesco Minisci emergono al riguardo le reticenze degli informatori di Parrello. Uno dei quali, sottoposto a ulteriori interrogatori, non solo ha ammesso il contenuto dei colloqui avuti con il pittore, ma ha anche fatto riferimento ad altri autori dell’omicidio ancora in vita.

FORZA DELL’UTRI Altro filone d’indagine che la commissione d’inchiesta potrebbe approfondire è quello  relativo a Marcello Dell’Utri, ex parlamentare di Forza Italia. Il fondatore di Publitalia entra nell’inchiesta Pasolini per alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa nel marzo 2010 a proposito della scomparsa di un capitolo di “Petrolio”, ultima fatica incompiuta del poeta uscita postuma nel 1992. Dell’Utri aveva fatto intendere che la morte di Pasolini era da collegarsi  a quella del presidente dell’Eni Enrico Mattei, il cui aereo, precipitato il 27 ottobre del 1962 a Bascapè, secondo le indagini era stato oggetto di  un attentato. «Una persona di circa 60 anni – ha confermato ai magistrati l’ex senatore – mi aveva avvicinato dicendomi di essere in possesso di importanti documenti relativi a Pier Paolo Pasolini e che si trattava del capitolo di “Petrolio” che era stato trafugato e dunque mai pubblicato». Dell’Utri sentito dalla procura nel 2011 aveva ridimensionato però il tenore e la valenza di ciò che aveva precedentemente affermato: «In buona sostanza – scrivono i pm nella richiesta di archiviazione – l’escusso ha modificato la versione resa alla stampa, fatta, per sua stessa ammissione, per ragioni pubblicitarie». Niente da fare, dunque, concludono i magistrati: «Il tenore delle dichiarazioni rese dal Dell’Utri, pertanto, nell’impossibilità di svolgere ulteriori riscontri, non ha offerto alcuno spunto investigativo percorribile e utile dal punto di vista giudiziario».

OCCHIO AI PROFILI Ma non è detta l’ultima parola. Perché con i suoi poteri di indagine, la commissione parlamentare potrebbe, se lo ritenesse opportuno, tornare ad indagare anche sul filone Dell’Utri-“Petrolio”. Così come potrebbe tentare di acquisire dati importanti per individuare le altre presenze sul luogo dell’omicidio dai 5 profili genetici individuati dal Ris di Roma. Le analisi del Dna, effettuate sui reperti rinvenuti sulla scena del delitto all’Idroscalo, sugli indumenti dello scrittore e dell’unico imputato Giuseppe Pelosi, non hanno infatti consentito di identificarle. Almeno finora.

di Simona Zecchi
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