Doveva essere dentro una carpetta con su scritto “Aldo Moro” e invece non c’è. E’ l’ultimo giallo legato al sequestro e all’uccisione dello statista democristiano Aldo Moro, di cui il 9 maggio scorso ricorreva il trentasettesimo anniversario della morte, nel quale è inciampato un collaboratore della commissione parlamentare d’inchiesta incaricato di rintracciare un fascicolo, originariamente classificato come “segretissimo”, che il ministero dell’Interno doveva versare all’Archivio centrale dello Stato adempiendo alla direttiva Renzi sulla declassificazione degli atti riguardanti le stragi e il terrorismo. E proprio lì dentro, ha riferito il presidente della stessa commissione Moro, Giuseppe Fioroni (nella foto), è probabile che ci fosse una nota riguardante la provenienza di alcune munizioni sospette raccolte il 16 marzo ‘78 in via Fani.

DOCUMENTO SCOMPARSO  La notizia è emersa il 6 maggio durante un’audizione della commissione e la scoperta è stata fatta dal collaboratore Angelo Allegrini, al quale l’organismo parlamentare aveva affidato l’incarico di recarsi presso l’Archivio centrale dello Stato e prelevare, dal fondo proveniente dal gabinetto del ministero dell’Interno, il fascicolo in questione e altri documenti che la commissione aveva ordinato di acquisire. L’accesso è avvenuto ad aprile e la relazione del collaboratore è stata trasmessa a San Macuto il 23 dello stesso mese. Nella nota, al momento ancora in parte riservata, Allegrini segnala ai commissari che in base ai documenti consultati «all’interno delle carte del Gabinetto» del ministero dell’Interno «esisteva un fascicolo 11001/45 con intestazione “Aldo Moro” che, pur elencato sia per il quinquennio 1976-1980 che per il successivo 1981-1985, non è mai giunto in Archivio centrale». Dunque, al momento, quel fascicolo è scomparso, così come il documento “segretissimo” che doveva essere al suo interno e che secondo Fioroni riguardava la provenienza da un deposito del Nord d’Italia, forse riconducibile all’organizzazione Gladio, del munizionamento rinvenuto in via Fani il giorno della strage.

CACCIA AL TESORO  Allegrini sottolinea che, benché vi siano agli atti dell’allora commissione stragi presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino numerosi documenti riconducibili allo stesso fascicolo, non si può avere la certezza che sia stato trasmesso alla suddetta commissione l’intero fascicolo: «Non è possibile accertare – ha spiegato – l’integrità del fascicolo “Aldo Moro” che doveva essere versato in originale all’Archivio centrale dello Stato». La commissione Pellegrino, tra il ’96 e il 2000, acquisì un centinaio di faldoni coperti dal segreto di stato che sono tuttora custoditi in un armadio blindato di San Macuto. Documenti top secret che nell’agosto del ‘98 furono trasmessi alla commissione stragi dall’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano, specificando che si trattava di appunti della nostra intelligence, sia civile che militare, «non portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria», «di elevata classifica» e perciò da «considerarsi di vietata divulgazione». Lo stesso Pellegrino, nel 2008, dichiarò a “Panorama”: «C’è un tesoro lì dentro che non abbiamo mai potuto utilizzare perché coperto dal segreto. Ma oggi, a 30 anni di distanza dall’assassinio di Aldo Moro, il segreto su quelle carte deve cadere». E le indagini della commissione Fioroni sono ripartite da quel tesoro, forti anche delle due direttive, prima quella di Prodi e poi quella di Renzi, che avrebbero dovuto consentire un accesso completo anche negli archivi del Viminale.

BOSSOLI ANONIMI  Non è la prima volta che la nuova commissione parlamentare, fortemente voluta dal Pd, tenta di fare luce su questo aspetto. Il 24 febbraio scorso, ascoltando l’ex pm Franco Ionta, che si occupò a lungo del caso Moro, si è fatto riferimento alla corrispondenza intercorsa nell’ottobre e nel novembre ‘99 tra lui e il presidente Pellegrino con specifico riferimento a un appunto della Questura di Roma del 27 settembre ‘78, originariamente classificato segretissimo, relativo proprio alla provenienza di una parte del munizionamento utilizzato per annientare la scorta dell’ex presidente della Dc. Per quanto se ne sa – e a riferirlo in commissione è stato lo stesso Fioroni – da questo ulteriore appunto risulterebbe che parte dei bossoli rinvenuti nel luogo dell’agguato provenivano da un deposito dell’Italia settentrionale le cui chiavi sono in possesso di sole sei persone. Alla faccenda sta lavorando anche un altro consulente della commissione, il magistrato Gianfranco Donadio, già procuratore nazionale antimafia aggiunto, che nel marzo scorso ha consegnato nelle mani di Fioroni diverse relazioni, subito secretate, riguardanti lo stesso appunto della Questura di Roma.

CHIARIMENTI A TAPPETO Nel novembre dello scorso anno l’allora procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, Luigi Ciampoli – chiedendo al gip di Roma l’archiviazione (poi respinta) dell’inchiesta nata dalle dichiarazioni rilasciate all’Ansa da un ispettore di polizia sulla possibile presenza in via Fani di due uomini del Sismi in sella a una moto Honda – era tornato ad approfondire le stranezze riguardanti i bossoli rinvenuti in via Fani. Ciampoli aveva indicato che 31 (del tipo GFL 9M38) dei 93 repertati erano senza data sul fondello e perciò, con ogni probabilità, provenienti da uno stock di munizioni non destinate ad eserciti regolari o ad organizzazioni parastatali. Difficilmente sarà possibile rintracciare il fascicolo 11001/45, anche se Fioroni ha già annunciato che la commissione ha chiesto chiarimenti all’Archivio centrale dello Stato, alla presidenza del Consiglio dei ministri e, in particolare, al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che nel corso di una passata audizione aveva dichiarato la propria disponibilità a collaborare fornendo quanto era archiviato nelle segrete stanze del Viminale.

di Fabrizio Colarieti

 

Twitter: @fcolarieti

 

 

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